top of page

La documentazione nei servizi educativi destinati alla disabilità

scritture e narrazioni che restituiscono valore e cultura ai territori

Introduzione

L’innamoramento per le parole e per il loro magico potere nasce spesso in un’epoca lontana dall’età adulta, ricordo memorabile o momento indefinito che si situa nell’infanzia,  a volte precedendo la capacità stessa di parlare e leggere autonomamente, in quei racconti sussurrati a mezza voce da persone care e assimilati poco prima di sprofondare nel sonno, materia prima dei sogni a colori dell’età dell’innocenza…

 

In questo articolo partiremo nel seguire la traccia che lascia la parola quando diventa scrittura declinandosi poi in  “documentazione”, relativamente al  lavoro educativo. Il gruppo di lavoro (cfr. box finale) ha avviato una riflessione condivisa su quanto il lavoro di documentazione e il suo trattamento, in ambito educativo, generino talvolta perplessità o fastidio. La parola scritta non è per tutti sinonimo di piacere, scoperta, relazione, tanto meno lo è quando è associata ad un agglomerato di protocolli, firme, numeri, valutazioni.

​

Eppure è proprio la scrittura che introduce in un mondo diverso da quello dell’azione, nella dimensione educativa, che in assenza di quella viene spesso lasciata vagare nelle derive della buona relazione, che tutto indica nulla lascia vedere. Scrivere si configura come un’eredità del passato, talvolta rara a trovarsi, per alcuni che si occupano di educazione; questo sembra uno dei paradossi in un mondo della modernità (anche pedagogico) che si rende prigioniero della frenesia dell’agire, del consumare tutto, anche le relazioni. In tale velocità, la semplice azione del fermarsi a scrivere è la necessita da riscoprire, quella che sposta verso un nuovo tempo.

​

Il tempo dell’azione non riesce a restituire, se non attraverso la scrittura, il sapore ed il valore che realmente porta con sé, di un’azione che viene non trattenuta nella scrittura non resta la traccia, e non si apre ad ulteriori possibilità di narrazione. Anche l’atto più eroico è destinato a cadere obsoleto nell’oblio, se ignorato, se destinato ad essere patrimonio esclusivo, individuale e di pochi.

​

La richiesta, sottoscritta a chi abita il mondo attuale, esasperatamente accelerato è quella di consumare l’esperienza con una modalità quasi bulimica, che risulta totalmente incompatibile con la necessità di fermarsi a riflettere, a conoscersi, a darsi tempo; di attivare quei processi indispensabili per capire e costruire un futuro.

​

Imploderemo sotto questa spasmodica pressione di consumare il presente?   

​

Il tempo dello scrivere è strutturato naturalmente per dare un senso a quanto accaduto, permette di  interrogare ciò che si è provato e sentito nel corpo, quanto si è pensato e progettato, quanto è rimasto impresso negli occhi e nella mente; di investigare sulla natura del cambiamento. 

​

Questo finisce per inscrivere, materialmente nella scrittura a livello emotivo, cognitivo, l’atto di aver vissuto profondamente quel momento, quell’incontro, quel viaggio, e ne diventa segno leggibile.

 

La nostra esperienza si compone di una miriade di frammenti isolati, istanti  intrecciati insieme dalla presenza mentale del soggetto a partire dalla propria percezione corporea;  cosa sarebbe vivere questa esperienza se non avessimo modo di codificarla, di collocarla in forma integrata, di trasformarla in una traccia mnestica, in una parola di poterle dare  forma e conservarla in qualità di memoria consapevole? 

​

DOCUMENTARE: COME, DOVE, QUANDO, QUANTO, PERCHÈ, CHI, COSA

I contesti educativi, l’attraversamento dell’esperienza che li accomuna, presuppongono un cambiamento, inteso quale fine ultimo ed ineliminabile dell’agire educativo. E’ all’interno di tale processo che la scrittura professionale si fa strumento essenziale di riflessione.

​

Per entrare nel merito della scrittura professionale che consegna indirizzo e valore pedagogico all’azione dei servizi educativi, occorre collocarla in uno sfondo più ampio, ossia all’interno della crescente rilevanza strategica della dimensione documentale, che si riscontra, nel corso del tempo e nei diversi ambiti dei servizi alla persona.

​

La documentazione riveste molteplici ruoli, in primis il presidio delle conoscenze affinché esse siano patrimonio accessibile e condivisibile; che si concretizza mediante un’organizzazione delle informazioni che consenta il loro facile reperimento, la corretta catalogazione, la disponibilità in base al bisogno situazionale e ad un utilizzo efficace. I documenti predisposti sono a tutti gli effetti atti sociali ed in quanto tali sono soggetti ad una storicità; ciò li deve rendere indispensabilmente oggetto una continua e sempre rinnovata attenzione nelle diverse dimensioni che li compongono, istituzionale, organizzativa e di ambiente di vita, e le riletture della documentazione a seconda della prospettiva utilizzata, consentono ad un servizio di espletare pienamente il proprio mandato educativo nel contesto di appartenenza. 

​

I servizi all’infanzia che hanno spesso sperimentato e riflettuto sui processi della scrittura documentale, e ci hanno consegnato esperienze di scrittura e di analisi della lettura del materiale scritto far le tra le più diffuse ed innovative, in ciò hanno rintracciato le differenti funzioni assolte dalla documentazione, tra queste, le più preziose ed essenziali sono:

  • garantire la memoria di quanto si progetta e realizza

  • garantirne anche la sua più ampia divulgazione,

  • costruire la possibilità di riflettere sui processi che sono alla base dell’esperienza educativa, attraverso lo sviluppo di una competenza narrativa che si declina in senso biografico ed autobiografico

In termini di principio, è importante definire le cosiddette cinque “W”: chi, cosa, quando, dove e come si documenta il lavoro educativo nei servizi.

​

Una corretta indagine di questi elementi fornisce un quadro significativo e distintivo della progettualità pedagogica che anima ogni servizio.

​

Ogni fase del lavoro educativo è documentabile: la scrittura professionale presidia un’istanza di riflessione individuale e si struttura sempre come costruzione collettiva; entrambe valorizzano il pensiero educativo ed il respiro progettuale che dovrebbero sempre accompagnare l’intero processo di cura,  precedendo, sostenendo e rinnovandone costantemente l’azione. 

​

Essa inoltre consente di investire risorse nella comunicazione e promozione dei servizi verso il contesto esterno, mentre parallelamente dà significato e pregnanza all’attività di reportistica e alle riflessioni auto riferite del servizio, laddove si persegue l’intento di ricercare e cogliere gli aspetti più sottotraccia, latenti ed inediti, dell’esperienza educativa attraversata. 

​

In tal senso, risulta importante pensare a luoghi e momenti di condivisione all’interno di gruppi e di equipe, offrendo massima visibilità a questa parte del lavoro educativo, diretta a tutti coloro che abitano o attraversano il servizio.

​

L’esperienza educativa è sempre necessariamente incarnata e situata in una scena, che occorre pensare come sempre presidiata ed intenzionale; non potrebbe essere altrimenti. L’educazione si colloca comunque dentro cornici che danno appartenenza e definizione, permettendo il movimento all’interno di campi dinamici; in tale movimento non è dato lasciare sullo sfondo i contesti culturali ed esistenziali di cui siamo parte, almeno quanto è imperativo confrontarsi con gli altri contesti investendoli di pari dignità. Ed è ancora una volta la traccia scritta che permette di andare a definire i confini di tali contesti, cogliendone le azioni svolte e i pensieri trattenuti. 

​

L’esperienza che non abbia in sé la dignità del ricordo e il piacere di essere condivisa è come un pavone, un magnifico uccello senza ali per volare. Vivere l’esperienza non coincide necessariamente con avere la capacità di coglierla e talvolta nemmeno con l’atto intenzionale di elaborarla; l’intensità e l’autenticità dell’esperienza diventano fruibili quando è possibile a catturare quell’alchimia che permette di goderne, rappresentarla, condividerla, ripensarla.

​

Ciò che resta e che lascia il segno in  profondità è appunto quel decidere di passare attraverso, l’atto di attribuire valore e significato a quello scorrere incessante e caotico.

 

Dice Daniel Stern. 

“Quando penso al concetto di apprendimento si illuminano davanti a me infiniti sentieri luminosi, tracce che segnano quei misteriosi percorsi che permettono a ciascuno di comprendere e di imparare, di cogliere e capire, di conoscere e apprezzare.”

 

DOCUMENTAZIONE NARRANTE 

La vita dell’uomo è intrisa di racconti, e raccontarsi è centrale nell’esistenza della persona, per interpretare  la propria esperienza, rielaborarla, trasmetterla alle altre persone, che se approprieranno (la faranno propria) interpretandola a loro volta e continuando a tessere le trame della narrazione.

​

Non solo. Secondo Piscitelli, la personalità e l’identità personali vengono costruite attraverso la narrazione; gli uomini creano significati che collegano alla loro vita, riferendosi a una determinata cultura. Inoltre, la ricerca sul pensiero narrativo e sull’ermeneutica delle storie,  secondo Brockmeier, ha dettagliatamente mostrato che gli esseri umani tendono a comprendere il comportamento secondo una modalità interpretativa; costruiscono quindi una storia con gli elementi che esperiscono dalla realtà per potersi dare una spiegazione, formando una catena di fatti che seguono un ordine logico e spazio- temporale.

​

Narrare significa anche riflettere sugli avvenimenti e sulle esperienze e può  condurre a continue e sempre  più approfondite analisi, raccorda gli eventi mantenendo sempre la loro identità. Potremmo dire che raccontare è “un dispositivo trasversale, che coordina e attraversa i saperi” (Brockmeier J. 1997),  li organizza e riorganizza.

​

Con le narrazioni, la persona comunica implicitamente qualcosa sulla propria visione del mondo, sui propri valori e sulla propria cultura. La narrazione è senz’altro un mezzo primario di identificazione; la storia dell’uomo è quindi fondata su essa, a cui ogni cultura affida l’elaborazione delle proprie radici e del loro senso.

​

La cultura si esprime attraverso la narrazione, con essa si elaborano e si tramandano valori, modelli e visioni del mondo, si costruisce la propria identità e con il proprio racconto si va a cercare un posto nella propria cultura, nella quale inserire il proprio tassello. 

Seguendo ancora il pensiero di Piscitelli, vediamo come la narrazione sia discorso e pensiero narrativo, espressione della storia dei popoli e della loro cultura come anche fondamentale nell’architettura dell’io e del sé.  Cambi osserva come il racconto sia la base di ogni fenomenologia culturale, sia a livello storico che a livello cognitivo, oltre che della struttura mentale, delle sue teorie e della costruzione della conoscenza.

​

Ma ecco che a questo punto possiamo individuare la necessità di narrare/narrarsi come servizi, operatori, utenti e rispetto alle prassi agite e pensate, solo unitamente al processo di costruzione della documentazione; che diventa il meticciamento fondativo per la costruzione dell’identità di un servizio.

​

Una buona documentazione “narrante” e realmente narrata, pubblica, esteticamente emozionante, eppure comunicativa dei fatti e delle prassi sarà capace di contenere il senso profondo dell’identità e della cultura di un servizio. Saprà indicare come ci si è fatti carico dell’utente e della sua storia  e come si prevede di farlo in futuro, o ad esempio come si interrogano e incentivano le sue potenzialità di scelta e crescita; trattenere nella scrittura questo percorso permetterà di sostanziare il senso del lavoro educativo, che così uscirà quella deriva fluttuante di “relazione”.

​

La documentazione saprà comunicare il pensiero che sostiene l’azione, e l’analisi che ne deriva sempre (valutazione), ma anche renderà conto delle teorie e delle teoresi.

​

Infine sarà anche voce e storia e geografia, sarà geometria dell’utenza, della sua famiglia, del territorio, delle culture, del momento politico e sociale, delle leggi e dei servizi che sottendono e sono la tessitura delle storie di educazione.

​

DOCUMENTAZIONE,  TERRITORIO,  DISABILITA’

La documentazione si lega strettamente ed esprime il territorio di appartenenza del servizio, ne è dimensione storica e anche geografica, culturale.

​

Come sottolinea E. Biffi “I paesaggi della documentazione sono, dunque, funzionali all’esistenza del servizio, sul piano istituzionale, organizzativo e di ambiente di vita: sono quelli necessari al suo funzionamento amministrativo (registri, schede e protocolli), organizzativo (turnazioni, mansionari) e quelli relativi al suo essere soggetto sociale, che acquisisce un proprio senso all’interno del territorio (la carta dei servizi), relativi al suo mandato (tutti i documenti inerenti il lavoro svolto dal progetto alla relazione…) e, infine, quelli relativi al suo essere ambiente d’esperienza, professionale e personale ( il diario professionale, ma anche le scritture informali…)”.

​

In quest’ottica emerge la polivalenza della documentazione che da adempimento burocratico per gli operatori, spesso da questi percepito come privo di una dimensione di senso, può diventare risorsa non solo a livello organizzativo ma anche come “oggetto sociale” che permette di raccontare la cultura del servizio e creare ponti con il territorio.

​

I documenti diventano così “ atti sociali” (Ferraris, 2009, p.281) favorendo riflessione e dialogo tra culture.

​

La dimensione cultura nel servizio è molto articolata. Essa, nella sua dimensione più esplicita si esprime attraverso tutti quei valori, simboli e artefatti di cui i membri della società sono consapevoli mentre nella dimensione più implicita rimanda ad aspetti così consolidati all’interno della comunità tanto da essere accettati inconsapevolmente, dati per scontati.

​

In particolare la prospettiva in cui ha senso addentrarsi grazie a due chiavi interpretative, e connesse, è quella della disabilità e quella dell’ICF. [1]

​

Perché la prima connessa alla seconda permette la risignificazione tra le tre parole documentazione, territorio, disabilità, e un rilancio possibile ai mondi dell’educazione.

L’educazione va narrata, va documentata, va resa visibile nelle prassi e nei nodi mancati della società, dei servizi, dei territorio.

 

In ciò la disabilità intesa, in questo punto, come macro categoria di difficoltà di accesso al mondo, nelle sue mancate funzioni o strutture (cfr. Manuale ICF) e nelle limitazioni offerte dal contesto, e che solo un lavoro di documentazione ben fatto può mostrare nel dettaglio, mostra gli spazi di azione, progettazione, trasformazione sociale, culturale, strutturale che necessita acciocché le persone possano fare quello che l’educazione si propone, ossia esperire “ i contesti educativi, attraversare le esperienze che li accomunano, e che consentono il cambiamento, inteso quale fine ultimo ed ineliminabile dell’agire educativo.”

 

Una buona esplorazione documentale permette di cogliere come le culture della disabilità siano molteplici: la cultura del servizio, quelle dei singoli operatori che in esso operano, le culture degli utenti e delle loro famiglie. Ognuna di essa esprime una diversa immagine di disabilità in costante dialogo con le altre e queste, a loro volta, si confrontano con le immagini di disabilità del territorio e dell’intera società.

​

La consapevolezza delle caratteristiche e delle specificità delle culture presenti è un aspetto fondamentale per il servizio.

Come afferma C. Lepri “Essere consapevoli che possono coesistere differenti immagini della disabilità storicamente determinate e comprendere come queste possano orientare i comportamenti delle persone e dei diversi gruppi diventa, per chi intende muoversi nella prospettiva dell’integrazione sociale, un dato essenziale, un elemento dal quale non si può prescindere sia nella progettazione che nell’attuazione degli interventi abilitativi.”.

​

Il richiamo alla dimensione storica delle culture di disabilità, mette in luce le diverse rappresentazioni che di essa si sono avute del tempo, la loro ricorrenza e sopravvivenza ancora oggi. Precisa Lepri: “Il modo in cui oggi conosciamo la disabilità è il risultato di una serie di rappresentazioni che si sono scontrate, integrate, sovrapposte nel tempo […]. La forza con cui alcune immagini hanno contraddistinto la disabilità per secoli resta presente nel cuore degli uomini e nell’inconscio collettivo e grazie a questa persistenza possono costantemente essere evocate” .

 

 

Documentare assolve ad una duplice funzione comunicativa deve essere interna ed esterna, al servizio.

Fatto salvo il rischio, che va sempre tenuto in scena il rischio di finire per usarla casuale, acritico, non intenzionale e senza continuità temporale; documentare è uno dei dispositivi assai utili nello svolgimento del lavoro pedagogico, di progettazione e di riflessione sulle potenzialità dell’individuo, attorno alla valutazione e al monitoraggio delle pratiche.

​

Quindi se il contenuto della documentazione viene fatto circolare all’interno del servizio e considerato come prodotto non asettico e distante ma lo strumento dinamico, soggetto a progressioni e revisioni continue, allora quest’ultimo può essere usato per rintracciare le risorse del territorio presenti, per ipotizzare interventi e strategie e restituire valore al servizio ed alla comunità stessa.

​

La documentazione crea dunque un legame ciclico tra l’interno e l’esterno del servizio, facendo sì che i servizi e la comunità di appartenenza apprendano gli uni dall’altra.

​

I servizi che si occupano di disabilità, e non solo quelli, devono dunque riuscire ad organizzare, e a narrare attraverso la documentazione le culture che li attraversano, finendo per restituire valore alla comunità che li promuove, costituisce.

​

E’ interessante capire come “le scritture professionali danno voce – e, ancor prima, sostengono e costruiscono – il lavoro educativo” , nella loro molteplicità di forme. La dimensione cultura nel servizio è molto articolata. Essa, nella sua dimensione più esplicita si esprime attraverso tutti quei valori, simboli e artefatti di cui i membri della società sono consapevoli mentre nella dimensione più implicita rimanda ad aspetti così consolidati all’interno della comunità tanto da essere accettati inconsapevolmente, dati per scontati.

 

L’apertura narrativa comunicativa documentale di un servizio al territorio costituisce infatti occasione di dialogo e scambio di culture e opportunità secondo una logica biunivoca in base alla quale il territorio si offre al servizio come laboratorio di esperienze, ed esso a sua volta produce nel territorio cultura, valore ed educazione alla diversità.

 

Ciò va restituito alla collettività, alle cooperativa sociali, agli enti gestori affinché sia condivisa come quella di una cultura che mostra, narra, insegna, trasforma, pensa il servizio e che si connette al mondo per riprogettare culture, sfondi, territori, servizi, architetture.

 

​

BIBLIOGRAFIA

Diffuse immagini disabilità.

Albanese, O., Delle Fave, A. Disabilità, diversità e promozione della salute. Aspetti clinici, formativi ed educativi. Franco Angeli, Milano, 2015

Lepri C.,  Viaggiatori inattesi. Appunti sull’integrazione sociale delle persone disabili, Franco Angeli, Milano, 2011

Medeghini R., (a cura di),  Norma e normalità nei disability studies, Erikson, Trento, 2015

Sorrentino A. M., Figli Disabili,  Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006

ICF, classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, Versione Breve, Erickson, 2001

 

Documentazione, ruolo. Focus sulla documentazione narrativa.

Biffi E. (a cura di), Educatori di storie. L’intervento educativo fra narrazione, storia di vita e autobiografia, Franco Angeli, Milano, 2010.

Biffi E., Le scritture professionali del lavoro educativo. FrancoAngeli, Milano, 2014

Bisogno P., Il futuro della memoria, elementi per una teoria della documentazione Franco Angeli, Milano 1995

Brockmeier J., “Che cosa leggiamo quando leggiamo quando leggiamo la mente?” Archivio di psicologia, neuropsichiatria 58, 118- 132, 1997

Cambi F., Saperi e competenze, Roma-Bari, Laterza, 2004

Demetrio D., La scrittura clinica. Raffaello Cortina, Milano, 2008

Demetrio D., Pedagogia della memoria, Meltemi, Roma, 1998

Lepri C., Viaggiatori inattesi. Appunti sull’integrazione sociale delle persone disabili, Franco Angeli s.r.l., 2013.  

Kanelikin C. - Scaratti G. (a cura di), Formazione e narrazione, Raffaello Cortina, Milano, 1998

Articolo web “La narrazione come paradigma attuale di contemporaneità”  Piscitelli M, 2016  http://www.cidi.it/cms/doc/open/item/filename/348/la-narrazione.pdf 

​

Vantaggi della documentazione, limiti nell’utilizzo.

Di Pasquale G. - Maselli M., L’arte di documentare. Perché e come fare documentazione, Marius Edizioni, 2002

Articolo web “Documentare per ricercare strategie come metodo d’azione, Enrica Fontani”   fonte: http://zeroseiup.eu/documentare-per-ricercare-strategie-come-metodo-dazione/

Articolo web  “Documentare e condividere le esperienze educative, Spazio interattivo sui principi e sulla pratica del documentare” fonte: https://documentazionegenerativa.wordpress.com/indice/introduzione-alla-pratica-della-documentazione/il-senso-e-il-valore-della-documentazione-in-campo-educativo/

​

Territorio.

Franchini R.,  Costruire la comunità che cura. Pedagogia e didattica nei servizi di aiuto alla persona, Franco Angeli, Milano, 2001

Tramma S., Pedagogia della comunità, FrancoAngeli,  Milano, 2009.

Tramma S., Pedagogia sociale. Nuova edizione, Guerini, Milano 2010.

__________________________________

[1] L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha elaborato nel 2001 uno strumento di classificazione che analizza e descrive la disabilità come esperienza umana che tutti possono sperimentare. Tale strumento, denominato ICF Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, propone un approccio all’individuo normodotato e diversamente abile dalla portata innovativa e multidisciplinare.

L’uso di tale strumento permette di collegare/fare interagire il servizio, gli individui (utenti, famiglie, operatori, cittadini, volontari…) ed il territorio.

L’ICF raggruppa in maniera sistematica diversi domini di una persona in una data condizione di salute: le funzioni e le strutture corporee, le aree di vita, le influenze interne ed esterne sul funzionamento e disabilità; e rispetto ad altri strumenti di classificazione, permette di prendere in considerazione la persona nel suo insieme, in quanto soggetto capace e portatrice di bisogni,  non in quanto “essere mancante”. Sono inoltre messi in evidenza la presenza dei fattori ambientali nella definizione dell’individuo, permettendo dunque di collegare i fattori di funzionamento del soggetto ai fattori contestuali dello stesso.

In sintesi, a nostro parere, l’ICF, se utilizzato in maniera adeguata, può essere uno strumento centrale nella definizione del rapporto tra il territorio e la disabilità, permettendo di vedere il territorio come parte integrante del processo formativo dell’individuo.

a cura di Monica Cristina Massola

coordinatrice del servizio Centro Diurno Disabili “Martin Pescatore” di Alessandria

 

Cooperativa Sociale Anteo ONLUS di Biella

 

Mi occupo di educazione professionale, psicomotricità, di consulenza pedagogica e di formazione. Attraverso i servizi educativi per minori e quelli destinati alle persone con disabilità dal 1989. Come blogger, dal 2007, narro l’educazione che “esiste” in rete, e attraverso la rete.

​

con il contributo di

​

Giulia Bino - Studentessa universitaria in Scienze Pedagogiche (ancora per pochi mesi), tanti sogni nel cassetto, impegnata nella ricerca di una identità professionale.

​

Silvana Cangemi - Counselor, Formatrice, Consulente Pedagogica per vocazione. Scrivo, medito, viaggio con mio figlio. Ogni incontro mi sorprende e commuove

.

Laura Crippa Sono un'educatrice, ma all'occorrenza maestra, sorella maggiore, amica, confidente. La vita pone tante domande, mi interrogo sulle persone e sulle situazioni … e in questo ho scelto di farmi guidare dalla pedagogia.

​

Guendalina Cucuzza - Lavoro nel campo dei servizi educativi culturali. Ho il pallino dell’accessibilità per musei e luoghi di cultura senza barriere. Operatore psicopedagogico per le tecniche espressive, in particolare arte e danza, progetto e conduco laboratori espressivi in ambito clinico e nella promozione del benessere.

 

Francesca Milan - Educatrice per scelta, prof. per caso. troppe parole, troppi pensieri, troppa vita che vibra!

 

Ilaria Valentini - Laureanda in scienze pedagogiche, educatrice, amo lo sport, canto a tempo perso.

​

bottom of page