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I papà dimenticati all’interno dei servizi al femminile

Lavorare con i papà dei bambini accolti presso le Comunità per donne e mamme provenienti da situazioni di maltrattamento

Violenza di genere: qualche dato

Il fenomeno della violenza di genere si compone di diverse tipologie di abusi che trovano fondamento nella disparità di potere tra uomini e donne, quali la violenza fisica, sessuale, verbale-psicologica ed economica.

La ricerca ISTAT relativa al 2014 rileva come in Italia le forme più gravi di violenza (fisica e sessuale) siano esercitate da partner, parenti o amici; in particolare, sarebbero il 13,6% le donne che nel corso della loro vita hanno subito violenza sessuale o fisica da un partner o ex partner e circa 4milioni400 mila le donne che hanno dichiarato di aver subito o subire violenza psicologica da parte del partner attuale.

All’interno delle relazioni di coppia la violenza non si limita alle forme fisiche o sessuali ma spesso può comportare anche violenza psicologica ed economica. Il risultato della combinazione di due o più di queste forme è un clima costante di paura e tensione in cui la donna si trova a dover vivere ogni giorno. Inoltre, a seguito delle ripetute violenze dei partner (attuali o precedenti), più della metà delle vittime soffre di perdita di fiducia ed autostima; altre conseguenze sempre per circa la metà delle vittime sono ansia, fobia e crisi di panico, disperazione ne sensazione di impotenza, disturbi del sonno e dell’alimentazione e depressione (ISTAT 2014).

La violenza domestica non riguarda solo le donne, i dati ISTAT del 2014 segnalano un aumento dei casi di violenza domestica a cui vengono esposti i figli: dal 60,3% del 2006 al 65,2% del 2014 e nel 25% dei casi i figli sono stati coinvolti nella violenza. Inoltre, sempre nel 2014, le forme di violenza psicologiche più gravi hanno riguardato l’1,2% delle donne in coppia, mentre i figli sono stati oggetto di ritorsione e minaccia per circa 50.000 donne.

E’ importante sottolineare come, anche quando i figli non sono i destinatari degli atti violenti, la violenza di tipo domestico coinvolge sempre gli eventuali figli in modo diretto o assistito. Secondo il CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il maltrattamento e l’abuso di infanzia) infatti, il bambino può esperie la violenza assistita direttamente, quindi quando la violenza avviene nel suo campo percettivo, o indirettamente, cioè quando è a conoscenza della violenza e/o ne percepisce gli effetti.

 

Il percorso di presa in carico

In Italia sono ancora poche le donne che denunciano gli episodi di violenza domestica; nel 2014 solo il 4,9% delle donne che hanno subito violenza da parte di un partner ha cercato aiuto presso i servizi come i Centri Antiviolenza o sportelli e servizi specializzati e solo l’11,8% delle donne ha sporto denuncia alle forze dell’ordine; le persone a cui le donne si rivolgono di più per parlare delle violenze subite restano, come in passato, familiari, amici e parenti (75,9%).

A seguito della legge n. 154 del 4 aprile 2001, «Misure contro la violenza nelle relazioni familiari», il giudice può disporre l’allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente che abbia minacciato la donna o l’abbia maltrattata. In realtà, spesso, il percorso di presa in carico delle donne vittime di violenza prevede, almeno in un primo momento, il collocamento della donna ed eventuali figli in strutture di protezione.

La tipologia di tali strutture non è omogenea sul territorio nazionale. In Lombardia esistono diversi luoghi finalizzati alla protezione delle donne vittime di violenza: strutture di accoglienza per il pronto intervento, case-rifugio ad alta protezione, strutture di ospitalità che non prevedono un’alta protezione e case verso la semi-autonomia e l’autonomia. Si tratta di un sistema di alloggi-servizio che prevede sia case rifugio per l’accoglienza e la protezione destinate alla prima accoglienza delle donne in situazione di pericolo, sia case per la seconda accoglienza, mirate a un’ospitalità temporanea che permetta la costruzione di percorsi di autonomia anche dal punto di vista sociale e lavorativo (Legge Regionale 11/luglio 2012 in materia di prevenzione e contrasto della violenza contro le donne e DGR successivi).

Poiché vivere all’interno di una situazione di violenza familiare può danneggiare la relazione madre-bambino, nel caso in cui il Tribunale per i Minorenni e/o il Servizio che ha in carico la famiglia ritenga che il nucleo abbia bisogno di tutela e supporto anche sul piano educativo, può decidere di collocare la donna e i suoi figli in una comunità mamma-bambino.

Si tratta di percorsi che, oltre a protezione, sostegno, tutela e reinserimento del nucleo accolto, hanno come obiettivo specifico la composizione della relazione mamma-bambino e il sostegno delle capacità genitoriali.

All’interno di questi percorsi, il rapporto padre-figlio/i viene in genere garantito sia dal Tribunale per i Minorenni che dai Servizio Sociosanitari; vengono quindi predisposti diversi interventi mirati a ricostruire e ridefinire il rapporto padre-figlio/i in particolare a seguito dell’allontanamento del nucleo dal proprio territorio.

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Prendersi cura delle relazioni con i papà: l’approccio di Casa Graziella

Casa Graziella Campagna è una comunità situata in una palazzina confiscata alla mafia, assegnata, tramite bando a due Cooperative del territorio di Sesto San Giovanni.

Nasce come palazzina “al femminile”, poiché l’amministrazione comunale desiderava avere nel suo territorio una realtà che potesse accogliere donne in situazioni di fragilità. Nei due appartamenti assegnati alla cooperativa La Grande Casa (un monolocale e un trilocale) si è deciso quindi di accogliere donne (con o senza figli) vittime di violenza, spesso ad opera di mariti o conviventi.

Alcuni degli obiettivi prioritari del lavoro educativo all’interno della comunità sono: favorire la riattivazione delle competenze delle donne accolte; sostenere le ospiti in un percorso di acquisizione di consapevolezza rispetto alla loro situazione; accompagnare le donne accolte per un breve periodo in modo da renderle nuovamente “protagoniste” delle loro scelte di vita.

Inoltre, pur riconoscendo la violenza subita e la disparità nel rapporto con il partner, l’equipe educativa lavora per costruire insieme alla donna una visione più ampia in cui essa possa riconoscersi come soggetto attivo nelle relazioni da lei intraprese perché, come sostiene Santerini, “l’azione educativa non è un intervento sull’altro ma insieme all’altro sulla realtà”.

 

Una delle cornici pedagogiche su sui si basa la logica di intervento in Casa Graziella è l’approccio basato sui diritti (rights based approach) che nasce dalla CRC, Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

I principi cardine della CRC (non discriminazione, migliore interesse del minore, diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo, partecipazione e rispetto per l’opinione del minore) e i principi normativi che derivano dal rights based approach (universalismo e inalienabilità, uguaglianza e non discriminazione, indivisibilità e interdipendenza dei diritti, partecipazione, accountability, ruolo della legge) sono quindi tra i riferimenti fondamentali che orientano l’azione dell’educatore sia rispetto alla progettazione educativa che nella pratica quotidiana.

Altro principio su cui si basa nello specifico il lavoro educativo con i padri dei bambini accolti è il diritto del minore alla bigenitorialità che trova il suo fondamento nella CRC ed espressione concreta nella legge 54/2006: "Il figlio minore ha il diritto di mantenere il rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare i rapporti significativi con gli ascendenti e con i propri parenti di ciascun ramo genitoriale” (art. 337 ter del Codice Civile).

Appare evidente come tale diritto, soprattutto nel caso in cui uno dei due genitori abbia esercitato violenza in ambito domestico e familiare, debba necessariamente trovare una sintesi con il principio del migliore interesse del minore (art. 3 CRC: in tutte le decisioni relative ai minori, il superiore interesse del minore deve avere una considerazione preminente).

Risulta quindi necessario superare quella che viene definita come la “contrapposizione tra tutela del minore e cura delle relazioni con la famiglia”, creando interventi e soluzioni nuove che riescano a comporre la protezione di bambini e ragazzi con la cura dei legami familiari.

A partire da queste linee teoriche il lavoro dell’equipe educativa si sviluppa in modo che ad ogni famiglia corrisponda un intervento specifico, che sappia tener conto delle caratteristiche dei soggetti coinvolti, dei contesti di provenienza e dell’indirizzo del progetto educativo familiare più generale.

 

In alcuni casi l’attuatore della violenza, anche ma non solo a seguito alla denuncia della donna, si trova in carcere.

In queste circostanze è necessario trovare un modo per nutrire la relazione tra padre e figli: ciò è possibile attraverso incontri protetti in carcere (per permettere un incontro anche fisico e “visivo” tra le due parti) ma anche attraverso telefonate protette e la proposta di scritti e disegni da inviare al padre (che a sua volta risponde con lettere e/o disegni per i suoi figli) che si trova momentaneamente in un luogo lontano o inaccessibile.

Un'altra relazione di cui prendersi cura può essere quella con la famiglia paterna. Gli incontri tra bambini e parenti paterni (liberi, monitorati o in spazio neutro) consentono ai bambini di rivedere nonni, zii e cugini, senza perdere i legami con quella parte della loro famiglia e sono uno strumento per parlare del padre con i familiari, anche confrontandosi su cosa sta accadendo e su cosa è successo in passato.

In questi casi i bambini sono stati contenti di rivedere i propri familiari (ma i nonni quando li vediamo? Ci sarà anche lo zio?”) e di ritrovare il territorio di provenienza (“lo sai che prima vivevamo qua? Quella era la mia scuola”).

Tuttavia lavorare con la figura paterna non significa solo ed esclusivamente favorire l’incontro e la relazione tra i soggetti ma anche accompagnare i bambini accolti nella rilettura e ridefinizione della propria storia familiare e del proprio rapporto con il padre.

Ad esempio si può giocare con i bambini ad individuare dei ricordi positivi riguardo alla vita in famiglia con il papà, senza edulcorare la condizione in cui vivevano, (“papà faceva delle pizze buonissime e le aveva chiamate con i nostri nomi”) o provare ad individuare caratteristiche positive legate al papà che consentano loro di traslare su di sé non solo le parti negative (“se il papà è cattivo, sono cattivo anche io”).

Anche far sentire coinvolti i padri nel percorso del nucleo familiare fa parte del lavoro con la figura paterna; in alcuni casi si può proporre un incontro al papà in cui presentare la struttura che accoglierà suo/i suoi figlio/i o prevedere dei momenti di confronto in cui spiegare al padre il percorso del nucleo all’interno della Comunità (non necessariamente in presenza di mamma e figli). Quando la situazione lo consente i padri possono essere coinvolti nell’organizzazione familiare (possono andare a scuola a prendere i compiti quando i figli sono assenti, accompagnare il figlio dal pediatra, svolgere piccoli incarichi….).

Può succedere che il padre non abbia riconosciuto il figlio/la figlia nata da una relazione sfociata poi in violenza o abbia, dopo poco tempo dalla nascita, abbandonato la compagna e il figlio. Anche in queste occasioni è necessario trovare una modalità differente e creativa per sopperire a questa mancanza fisica e lavorare nell’assenza. L’equipe educativa può, di volta in volta, a seconda dell’età dei bambini, trovare una strategia per narrare loro una “storia” fatta di frammenti raccolti dai racconti della mamma, di chi li ha conosciuti insieme o da foto e documenti in possesso della famiglia, creando narrazioni possibili che contemplino un papà nella storia di ciascun bambino.

 

 

 

Bibliografia:

Romito P., Melato M. (a cura di) La violenza sulle donne e sui minori. Una guida per chi lavora sul campo, Carocci Faber 2013

Premoli S., Bambini, adolescenti e famiglie vulnerabili. Nuove direzioni nei servizi socio educativi, FrancoAngeli, 2012

Report La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia 2014, ISTAT e dipartimento per le Pari opportunità

 

 

 

Alcuni consigli bibliografici delle studentesse Irene Capozio, Federica Cattaneo, Antonella De Nardo, Michela Morandi, Ginevra Nieri, India Re, Sara Tagliati, Cristiana Zanchi

 

Agnello Hornby S., Calloni M., Il male che si deve raccontare per cancellare la violenza domestica, Feltrinelli, Milano, 2013

Annibali L., Fasano G., Io ci sono. La mia storia di “non” amore, Rizzoli, Milano, 2014

Arena A., La barbarie silenziosa. La violenza contro le donne e la crisi del patriarcato, Edizioni Clandestine, Massa, 2014

Associazione Nondasola (a cura di), Cosa c'entra l'amore? Ragazzi, ragazze e la prevenzione della violenza sulle donne, Carocci, Roma, 2014

Cretella C., Venturali C., Voci dal verbo violare: analisi e sfide educative contro la violenza sulle donne, I libri di EMil, Bologna, 2010

Cretella C., Mora Sánchez I., Lessico familiare. Per un dizionario ragionato della violenza contro le donne, Settenove edizioni, Cagli, 2014

Cooperativa sociale Cerchi D’Acqua O.N.L.U.S Libere di scegliere: i percorsi di autonomia delle donne per contrastare la violenza di genere, Franco Angeli, Milano, 2006

Colantoni M., Il diritto calpestato. Quando un pregiudizio fa giurisprudenza. La bigenitorialità tra rivoluzione e conservazione, booksprintedizioni, 2013

Curci P., Galuzzi G., Secchi C., La sindrome delle molestie assillanti (stalking), Manuale di Psicologia Psichiatria Psicoterapia, Bollati Boringhieri, Torino, 2003

Gelli B., Psicologia della differenza di genere, FrancoAngeli, Milano, 2009

Irigaray L., Speculum. Dell'altro in quanto donna, Feltrinelli, Milano, 1998

Merete Amann Gainotti, Susanna Pallini (a cura di), La violenza domestica e il lavoro dei centri antiviolenza, Magi edizioni, 2008

Miller A., L’infanzia rimossa. Dal bambino maltrattato all’adulto distruttivo nel silenzio della società, Garzanti, Milano, 1999

Pitzalis V., Nessuno può toglierti il sorriso, Mondadori, Milano, 2014

Rangone G., Chistolini M., Vadilonga F., Le parole difficili. La formazione degli operatori in materia di maltrattamento e abuso minorile, Franco Angeli, Milano, 2004

Schimmenti V. Craparo G., Violenza sulle donne, aspetti psicologici, aspetti psicopatologici e sociali, Franco Angeli, Milano, 2006

Spinelli B. (2008), Femminicidio, dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale, Franco Angeli, Milano

Targher C., Foti M., Comunicare la separazione ai figli. Dall’affidamento alla bigenitorialità passando per la mediazione familiare, Giraldi editore, 2014

Woolf V., Una stanza tutta per sé, Feltrinelli I Classici, Milano, 2013

Zanasi Francesca M., Violenza in famiglia e stalking, delle indagini difensive agli ordini di protezione, Giuffrè editore, Milano, 2006

Zatti A., La psicologia maschile spiegata alle donne, Liguori, Napoli, 2012

 

a cura di

Elisa Salvadori, referente per la formazione

Emanuela Tacconi, coordinatrice di comunità per donne vittime di violenza

La Grande Casa soc.coop.soc. Onlus         

 

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hanno contribuito

Cristiana Zanchi

Irene Capozio

Federica Cattaneo

Sara Tagliati

Ginevra Nieri

Antonella De Nardo

India Re

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