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Dalla medicalizzazione all’inclusione sociale

sperimentarsi con un nuovo progetto “pronti attenti via!"

La diversità nell’uomo ha sempre suscitato paura, angoscia, preoccupazione, inquietudine e repulsione, sentimenti a cui esso ha reagito con l’esclusione, l’allontanamento da tutte le realtà sociali del “diverso” e il suo internamento in strutture protette: “ la cultura occidentale proietta la paura della diversità sul mondo, per circoscriverla e per tentare di rimuoverla o di controllarla”. (1)

Per molti secoli si sono protratte nei confronti dei “diversi” molteplici forme di discriminazione, come l’etichettatura di “persone pericolose” da allontanare e le forme di derisione per le loro difformità. Addirittura al tempo dell’Inquisizione si era fatta strada l’idea del disabile come uomo sotto il controllo del demonio. Anche all’interno delle stesse famiglie, la nascita di un figlio “diverso” aveva creato grossi problemi al punto tale da rinchiuderlo e isolarlo anche dalla vita familiare o ponendo fine alla sua vita fin dalla nascita.    
Nell’età moderna, invece, i soggetti “diversi” venivano internati in strutture protette e controllati e trattati con uso di farmaci o mezzi di contenimento in quanto il disabile era identificato con il malato. L’obiettivo era quello di rieducare totalmente la persona, trasformandola. Questa forma di rieducazione ebbe come conseguenza quella di portare l’attenzione dei medici a ricercare esclusivamente le cause della loro malattia estraniandoli il più possibile dal contesto sociale, affinché non potessero disturbare la società nella routine quotidiana o creare disagi. L’emarginazione quindi era lo strumento privilegiato per “curare” e “trattare” il diverso, il quale incontrava, come figura professionale, solo il medico che lo trasformava in caso clinico su cui poter studiare. Questa fase può essere definita della “medicalizzazione”. Successivamente si assiste alla creazione di istituti destinati esclusivamente a contenere persone emarginate, rifiutate, diseredate o con “handicap”. In questo momento, i soggetti con disabilità, non vengono più trattati come casi clinici, anche se vengono mantenuti isolati dalla società. Al posto della figura del medico si ha l’educatore che è colui che rieduca attraverso il metodo della punizione e del contenimento per migliorare o cambiare i problemi di coloro che vengono definiti folli.

Ancora, al tempo degli istituti e dei manicomi, non si ha l’idea della persona con disabilità come individuo portatore di risorse e ricchezze ma come un soggetto privo di “valore” che bisogna trattare solo per un recupero fisico o interiore.

Un cambiamento importante nella visione della diversità, si ha quando invece, grandi personaggi, o meglio pedagogisti medici, come Itard, Seguin, Decroly e Montessori portano una nuova visione del disabile e del “diverso” dando origine alla Pedagogia Speciale.

E’ a partire da Itard che si fa risalire quindi il passaggio da uno studio puramente medico ad un intervento più pedagogico e globale nei confronti della persona disabile, ed è esso che parla dell’educabilità” dell’individuo anche in presenza di forti disabilità e si deve a lui l’importanza data alla mediazione sociale nella crescita psicofisica del soggetto.

Seguin permette invece, il passaggio da una pedagogia focalizzata sul soggetto ad una più incentrata sui contesti, sugli ambienti in cui il soggetto viene ad agire e sui percorsi da intraprendere. L’obiettivo del percorso educativo è pertanto quello di mirare alla socievolezza della persona nell’ambiente in cui vive. M. Montessori valorizza la dimensione del “fare da sé” del bambino e la conseguente importanza dell’adulto nel fare da sostegno: per la Montessori educare significa aiutare il bambino a tirar fuori la sua capacità auto educante di cui è portatore; Decroly, sottolinea “la necessità di individualizzare il percorso educativo per i disabili e di legarlo ad una severa ed approfondita valutazione funzionale alle difficoltà dell’educando” (2) . Un obiettivo della Pedagogia speciale è la riduzione dell’handicap che viene realizzato solo attraverso una socializzazione del deficit, ovvero attraverso la creazione di una “cultura speciale” che porti un cambiamento nell’azione comune, facendo sì che le attenzioni speciali diventino ordinarie, giungendo ad un “pensare speciale” (3).

La diversità quindi, acquisisce, anche grazie a questa Pedagogia, un valore aggiunto, in quanto viene intesa come risorsa per tutti i cittadini.

Si capisce come, nel corso del tempo, la percezione della figura del disabile sia mutata permettendo così, intorno agli anni 60’, la messa in discussione dei metodi educativi fino a quel momento utilizzati (punizione, contenimento, isolamento, medicalizzazione etc...), che non avevano portato a nulla se non ad un aumento della paura di tutto ciò che era diverso, rallentando e allungando quindi i tempi di conoscenza di esso e della sua integrazione sociale.

La fase odierna, che parte da metà dello scorso secolo ad oggi, è caratterizzata invece da grandi passi avanti nel senso dell’integrazione sociale, scolastica e lavorativa del disabile e dell’abbattimento delle barriere architettoniche, proprio perché è maturata la consapevolezza che è importante un suo ritorno nei suoi luoghi di vita personali quali la famiglia, e una conseguente apertura verso la società.

Le prime esperienze d’integrazione dei disabili nella società, realizzate in Italia, sono da parte di associazioni tra cui la Comunità Papa Giovanni XXIII di Rimini, fondata da Don Oreste Benzi (1968). Comunità che opera l’integrazione condividendo, all’interno delle case-famiglia, la situazione di svantaggio dei disabili, costruendo con loro una nuova cultura in cui l’uomo possa offrire i suoi talenti; come diceva Don Oreste Benzi “nessuno è troppo povero da non poter donare nulla e nessuno è troppo ricco da non aver bisogno di ricevere”. Negli anni ’70 Don Oreste infatti, intuisce che “la persona ha bisogno di relazioni significative, uniche, insostituibili che non possono essere assicurate in un ambiente come quello dell’istituto dove vengono garantiti i livelli assistenziali adeguati, ma non quelli di tipo familiare e parentale garantiti da una figura paterna e materna. La famiglia aperta, allargata con i bambini, i giovani, i nonni ed anche i diversamente abili risulta essere una fonte di crescita armonica ed equilibrata per lo sviluppo psicofisico del bambino” (4). Una formazione all’altero-centrismo, alla solidarietà, alla gratuità delle relazioni. Qui è realmente possibile una integrazione, dove chi prima veniva istituzionalizzato a causa del suo handicap, oggi diventa protagonista di storia, vivendo nelle realtà davvero quell’integrazione che oggi si richiede all’intera società.

E’ proprio grazie all’azione di sensibilizzazione e promozione del valore della diversità ad opera della Comunità Papa Giovanni XXIII che si è giunti nel 1994 all’emanazione della legge 724 che sancisce la chiusura definitiva di istituti e manicomi in Italia.

E’ sempre sul finire dello scorso secolo che viene modificato anche il termine “disabile” trasformato in “divers-abile” (concetto rivisto dall’ ICF 2007 che ritiene essere una definizione sbagliata concettualmente in quanto si afferma” il rispetto per la differenza e l’accettazione di persone con disabilità come parte della diversità umana”), proprio per sottolineare la presenza di abilità diverse nel soggetto, e non una sola mancanza di competenze.

La competenza sociale intesa come abilità propria  del soggetto disabile, la possiamo collegare al termine “empowerment”: il sentirsi competenti , e cioè in grado di farcela, il sentire di avere il potere di vivere la propria vita in modo autonomo e di poter fare affidamento alle proprie risorse, prima fra tutte quella di poterne sempre imparare di nuove. E’ a partire da questo concetto che nasce e si sviluppa il progetto della Cooperativa Il Mosaico Servizi di Lodi “Pronti, Attenti, Via!  dove  il percorso educativo messo in atto  all’interno del territorio lodigiano ha come obiettivo dichiarato  la conquista di abilità (saper fare ) nelle aree della comunicazione, orientamento, comportamento in strada, uso del denaro e dei servizi, ma al tempo stesso il sostegno alla costruzione di un’identità personale (saper essere) in cui gli adolescenti disabili  frequentanti  ancora la scuola superiore   traggono dalla spinta all’essere adulti la motivazione a comportarsi come tali (5). Come dice infatti Claudio Imprudente (presidente del Centro di Documentazione Handicap di Bologna) il “termine disabile obbedisce alla logica della staticità, dell’immutabilità, la parola divers-abile sottolinea invece una positività.” (6)

La logica inclusiva, come abbiamo visto precedentemente, ha come obiettivo la creazione di una nuova cultura, aperta e democratica, che valorizzi le differenze e le peculiarità di cui l’individuo è portatore concependole come una ricchezza da condividere. Rivoluzione copernicana in questo senso è il progetto in questione dove il bisogno, la richiesta provengono direttamente dalle famiglie delle persone disabili che mettendosi in un’ottica di inclusione e di valorizzazione delle abilità dei propri figli e del loro “saper fare” all’ esterno dell’istituzione scolastica si sono fatti promotori di un’istanza di legittima normalità.   In questo modo ogni individuo troverà un terreno fertile nel quale esprimere i propri e speciali “talenti”. L’inclusione proprio grazie alla valorizzazione della diversità si pone esplicitamente contro qualsiasi tipo di discriminazione che vede coinvolti soggetti diversi. Nell’impostazione metodologica e nella scelta della modalità di realizzazione del progetto “Pronti, Attenti, Via!” si individuano alcuni nodi che ispirano e caratterizzano l’intero stile di lavoro e rimarcano prepotentemente il concetto di valorizzazione della diversità del singolo: rapporto basato su verità e motivazione , coinvolgimento attivo del ragazzo nella scelta e gestione delle attività , percorsi e strategie individualizzate

In questi ultimi decenni, si sono fatti grandi passi avanti nel riconoscimento e nell’integrazione sociale del soggetto disabile, grazie a leggi, a movimenti civili fondati sul volontariato, associazioni laiche e cattoliche, pedagogisti e nuove pedagogie (pedagogia speciale).

È a partire dagli anni ‘60/‘70 che si considera l’importanza dell’integrazione come valore da salvaguardare e da promuovere, che si comprende come essa sia utile alla valorizzazione della vita umana e si incomincia ad agire per la sua diffusione in tutti i contesti di vita: ecco che i disabili sono sempre più presenti nella vita sociale, a scuola, nei supermercati, sui mezzi pubblici etc. tanto che la loro presenza non fa più notizia, ma diventa fatto comune. Infatti nel  delineare un itinerario educativo nell’ambito della autonomia per cosi dire esterna nel progetto “Pronti, Attenti, Via!” si individuano 5 aree educative: comunicazione , orientamento, comportamento stradale, uso del denaro, uso dei servizi . Tutto ciò si realizza in un ambiente ricreativo e gratificante in cui ci si possa sentire protagonisti. Autonomia non solo come acquisizione di competenze  ma anche  assunzione di  un ‘identità da adulto e  cittadino consapevole, attivo, partecipe e rispettoso che mette in atto  nuovi comportamenti  superando le inevitabili difficoltà.  Tutto ciò indica che il lavoro svolto fino ad ora sta andando nella direzione giusta, quella di garantire buoni livelli di qualità di vita anche per le persone con deficit.

A seguito della Convenzione ONU 2006 l’inclusione diviene l’imperativo degli addetti ai lavori della nuova società democratica e il concetto di inclusione entra con forza all’interno delle agende politiche italiane ed europee.         
La Convenzione ha contribuito a compiere il significativo passaggio dal concetto di integrazione al concetto di inclusione nella società dei soggetti disabili (e non), denunciando l’imminente necessità di tale azione. L’idea da essa promossa è rivoluzionaria, perché se prima si tentava in tutti i modi di “inserire” i soggetti disabili all’interno di una realtà che si percepiva “giusta”, oggi l’inclusione ripensa tale realtà in ottica evolutiva.

Il problema di inserimento del soggetto disabile nella società, infatti, era solo a carico dell’interessato e non si prevedeva nessun coinvolgimento da parte delle realtà sociali. Il soggetto così si trovava nella condizione di doversi “adeguare” e modificare in base alle caratteristiche

logistiche e organizzative della società: l’integrazione era rivolta perciò solo alle persone disabili o portatori di deficit ed era riferita a categorie speciali.

Oggi, invece, il concetto di inclusione diviene occasione per l’intera società di ripensare e rivedere in chiave evolutiva la sua natura. Perché l’inclusione valorizza la diversità e permette una valorizzazione delle caratteristiche di ogni soggetto, trasformando così le nostre società in vere e proprie comunità accoglienti che si modificano in base alle esigenze di tutti i suoi membri. Come dice Silvia Tamberi: “l’entrata in scena della diversità e della disabilità è così potente che scardina le consuetudini, richiede modificazioni e adattamenti sia delle persone che entrano in relazione con essa, sia delle strutture, sia degli ambienti.”

L’inclusione per questo non è più un problema esclusivamente delle persone con deficit, ma diviene occasione per tutti i cittadini di migliorare la propria qualità di vita.

Per ribadire la necessità di considerare la disabilità come possibilità della condizione umana e non come uno “status” particolare, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ha inserito i diritti dei disabili all’interno dei diritti umani sottolineando che:

“Combattere la disabilità non significa soltanto porre attenzione alla situazione di alcune persone, ma promuovere la consapevolezza che ogni impegno per le persone con disabilità è un impegno per tutti i cittadini, perché la disabilità è una possibilità della condizione umana.” (7)  

 

Includere vuol dire offrire ad ogni individuo l’opportunità di essere cittadino a tutti gli effetti cioè vivere in condizioni di vita dignitose e di essere inseriti in un sistema di relazioni soddisfacenti.

Includere significa che tutti possano sentirsi parte della comunità sociale e possano essere inseriti in contesti relazionali in cui agire, scegliere e vedere riconosciuto il proprio ruolo e la propria identità, radice della richiesta  e fulcro  della  risposta sottesa all’  attivazione del progetto “Pronti, Attenti, Via!” di cui sia le famiglie dei ragazzi disabili sia gli operatori responsabili ne sono diventati i portavoce, all’interno della comunità lodigiana canale di inclusione.

 

 

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1. Patrizia Gaspari, Milano, (2002) “Aver cura. Pedagogia speciale e territori di confine”, edizioni Angelo Guerini, pag.27

2. Luigi D’alonzo, (2010), intervento al Convegno SIPES “Integrazione delle persone con disabilità. Lo sguardo della pedagogia speciale”, pag 3.


3. P. Gaspari, Padova, (2001), “Un’ epistemologia per la Pedagogia Speciale”, in Studium Educationis, (a cura di) A. Canevaro, “Pedagogia Speciale”, Ceda, n.3.pag.2

4. Lessi V., Milano, (2008 ), “Don Oreste Benzi, un infaticabile apostolo della carità”, San Paolo editore.

5. Il Mosaico Servizi  Lodi,  2015 dal progetto “Pronti, Attenti, Via!”

6- www.accaparlante.it

7.  G. Borgnolo, R. De Camillis, C. Francescutti, L. Frattura, R. Troiano, G. Bassi, E. Tubaro (a cura di), Gardolo (TN), (2009), “ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Nuove prospettive per l’inclusione”, Edizioni Erickson.

a cura di

Bertoni Simona

Damioli Chiara

Franchi Michela

​Coop. Soc. "il Mosaico Servizi"


con la collaborazione di

Armuzzi Sara

Cavagna Erica

Lanfranconi Carla

Perrone Andrea

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