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L'intervento domiciliare: un viaggio tra diritti, confini e progetto di vita della persona.

La libera scelta e la famiglia nell'intervento domiciliare. La trasversalità dell'intervento domiciliare tra l'assistenziale e l'educativo

Negli ultimi decenni la famiglia è stata oggetto di studio da diverse angolature.

Nei paesi economicamente avanzati  ha subito radicali trasformazioni, risultato di una molteplicità di fenomeni tra cui: l’invecchiamento della popolazione, la diminuzione della natalità, l’aumento delle nascite da genitori stranieri, il calo dei matrimoni, l’aumento dei divorzi e delle separazioni, l’incremento dell’istruzione e dell’occupazione femminile, la crescita delle coppie di anziani che vivono da sole e la mobilità territoriale. Tali fenomeni hanno influenzato la struttura e le relazioni familiari. Si è vista la crescita esponenziale del numero delle famiglie, parallela ad una contrazione del numero medio dei membri di ciascuna di esse.

Per la prima volta nella storia il capoluogo lombardo risulta abitato principalmente da persone sole:vent’anni fa erano solo un terzo. Milano è la città che registra un risultato eccellente in tema di occupazione femminile, ma è anche la città in cui le stesse donne si trovano sulle spalle il carico di cura di genitori anziani e figli piccoli per un tempo molto più lungo che in passato e per la gestione del quale si rivolgono inevitabilmente al mercato spesso informale di badanti e baby-sitter. Attualmente l’incremento della popolazione anziana, l’aumento delle richieste di sostegno e cura per favorire la permanenza al domicilio e la necessità di dover controllare i costi richiedono agli attori del sistema sociosanitario un costante investimento  per offrire dei servizi di qualità.

 

Il Servizio di Assistenza Domiciliare, erogato in genere ai nuclei familiari comprendenti soggetti “fragili”, a rischio di emarginazione, si è dovuto “ ripensare” per fronteggiare le nuove tipologie di richieste riguardo alle emergenze socio-assistenziali. Il Comune di Milano enuncia: “Nell’ambito del percorso di innovazione e riorganizzazione dei servizi sociali previsto dal “Piano di sviluppo del welfare” (Del. C.C.37/2012) sostanziali cambiamenti sono stati delineati per quanto riguarda i servizi domiciliari, al fine di realizzare un sistema basato sull’accesso unificato alle risorse e linee di prodotto trasversali rispetto alle diverse tipologie di fruitori”.

I concetti cardini che hanno guidato la riorganizzazione sono stati:

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  1. Trasversalità: definizione di un servizio unico, trasversale, rivolto a tutte le categorie a prescindere dal bisogno, abbattendo così l’attuale  tripartizione per categoria di utenza: minori, anziani, persone con disabilità e definendo in modo omogeneo i criteri di accesso,  di tariffe e di modalità univoche di accreditamento.

  2. Ampliamento del target: attraverso l’introduzione di nuove linee di prodotto, potenzialmente dirette a qualsiasi categorie di cittadino e che introducono elementi di innovazione importanti, ad esempio “aiuti familiari” (colf, baby-sitter e badanti) o i cosiddetti “peripherals” (piccola manutenzione, consegna pasti, trasporti, iniettorato…), come risposte a bisogni non tradizionali ma presenti in città (supporti leggeri, aiuti domestici). Ciò consente al servizio sociale di aggiungere alle prestazioni erogate delle linee di prodotto ulteriori, che possono arricchire e rendere più efficace la proposta assistenziale.

  3. Partecipazione/coinvolgimento: gli utenti che afferiscono al sistema domiciliare accreditato scelgono l’organizzazione e partecipano alla stesura del proprio progetto di vita. Favorire la partecipazione è un richiamo obbligato per chi si occupa del sociale. Il pensiero epistemologico che guida questa scelta è quello di favorire l’empowerment dei cittadini, valorizzare le risorse esistenti contrastando un atteggiamento passivo, rivendicativo e assistenzialistico, facilitando la partecipazione. Quali sono i pre-requisiti necessari per favorirla? Come viene favorita concretamente? Quale confine esiste tra essere protagonisti o essere consumatori di prodotti? La definizione “linea di prodotto” evoca un linguaggio commerciale e pubblicitario:“insieme di prodotti con caratteristiche simili o complementari presentato da una ditta, offerti a un mercato per attenzione, acquisizione, uso o consumo, per soddisfare un desiderio o un bisogno” (definizione Treccani). Il rischio è quindi che i servizi offerti, erogati come prodotti, alimentino i bisogni non considerando la persona nella sua globalità. Assumono quindi importanza le capacità residue dell’individuo, i suoi diritti e la sua dignità come persona.

 

Se consideriamo l’utente come consumatore di servizi quest’ultimo è soltanto chiamato a scegliere fra erogatori alternativi; il singolo cittadino è un cliente e le sue scelte private non sono riconosciute come una responsabilità pubblica. Questa situazione fa intravedere una forte asimmetria di potere fra lo stato di bisogno della persona e l’organizzazione che fornisce prestazioni che  induce a focalizzarsi sul bisogno: la domanda dell’acquirente è già definita dall’offerta; la sola responsabilità dell’amministrazione pubblica è la tutela della libertà di scelta nell’ambito di uno scambio commerciale privato. Per tutelare la libertà di scelta il servizio sociale non solo deve tutelare la scelta privata del cittadino, ma deve creare le condizioni e fornire i supporti perché le persone possano scegliere e agire rispetto alla loro stessa elaborazione e progettazione. La responsabilità assegnata all’amministrazione pubblica è volta a sostenere la capacità di scelta dei cittadini fragili sugli interventi che li riguardano, riducendo al minimo le condizioni di dipendenza e di istituzionalizzazione. Il focus si sposta dalla “malattia privata” alla “salute pubblica”, in questo senso, la misura è orientata a riaffermare il valore delle persone.

Porre la centralità della persona all’interno delle pratiche educative-assistenziali è riconoscere  il soggetto nella sua totalità, quindi non solo come portatore di bisogni ma in primo luogo come fonte di risorse da implementare, di diritti da tutelare e di una dignità da preservare. La dignità della persona viene riconosciuta e definita come principio costituzionale e regolamentata dalla Corte Costituzionale. La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948 enuncia «l’unico e sufficiente titolo necessario per il riconoscimento della dignità di un individuo è la sua partecipazione alla comune umanità».

Il compito assunto dall’Amministrazione Pubblica è di sostegno alla (ri)costruzione dei diritti perduti a causa delle condizioni di salute precarie. Quale ruolo hanno gli operatori sociali in questo processo?

Per favorire la partecipazione dei cittadini fondamentale risultano:

  • la questione temporale: la partecipazione  non è qualcosa che avviene in poco tempo ma necessita di investimenti a lungo termine

  • l’informazione: tutti gli attori coinvolti devono conoscere le procedure, l’organizzazione del servizio ed essere a conoscenza dei meccanismi di programmazione

  • l'accettazione: creare un clima di fiducia e costruire un percorso condiviso

 

Educativo e Assistenziale

La trasversalità dell’intervento comporta che si possa scegliere il tipo di intervento da effettuare con il soggetto e non somministrare a priori interventi deputati a quell’area di bisogno o a quella fascia di età.

Ci troviamo oggi a progettare interventi educativi per anziani e interventi assistenziali per minori.

È chiaro che la questione ci pone l’interrogativo: le due sfere di intervento hanno identità precise e monolitiche o si intrecciano e contaminano?

Se la definizione di assistenza rimanda all'idea di un soggetto passivo che riceve delle prestazioni in quanto soggetto in condizione di minorità, quella di educazione fa riferimento ad un processo di crescita e di auto-affermazione del soggetto. Una pone l'accento su ciò che manca o dev'essere sostituito, l'altra su ciò che viene “tirato fuori” e che quindi esiste già. (D.Demetrio, F.Cambi)

Oggi l'intervento domiciliare vede sempre più convergere questi due aspetti, educativo e assistenziale, che non sono elementi distanti e distinti ma si alimentano a vicenda. L’esperienza professionale  è il luogo deputato al loro incontro.

Come operatore socio assistenziale quali pratiche di cura si possono e si devono condividere affinché le persone mantengano le loro autonomie? Un operatore con quale sguardo si accosterà alle pratiche di cura della persona e della sua igiene? In una prospettiva di prevenzione e di cura forse la risposta si trova in quella postura, in quello sguardo, in quell'intenzionalità, che poi determina l'agire, di chi mette al centro l'Individuo non come mero portatore di bisogni, ma prima di tutto come “avente diritto”, per restituirgli dignità, competenze, fiducia, possibilità di scelta e quella  cittadinanza che viene sancita dalla Costituzione ma che rischia di diventare una parola svuotata di senso se sottoposta alla mera logica della prestazione e del mercato.

Se interpretiamo bene il pensiero di Franchini è la rappresentazione, l'immagine che l'educatore rimanda alla persona portatrice di disagio, a promuovere cambiamento. Il lavoro dell'educatore professionale rimane dunque azione pedagogica per eccellenza, la cui eventuale latenza produce la deriva assistenzialistica. L'azione d'aiuto alla persona in condizione di disagio non può prescindere dalla logica della relazione educativa, pena l'annullamento più o meno evidente dell'efficacia dell'aiuto stesso.

“Questa affermazione, può essere dimostrata prima di tutto dalle principali derive  dei servizi di aiuto: l'assistenzialismo e il sanitarismo. L'assistenzialismo è naturalmente lo sbilanciamento della relazione di assistenza a favore di uno solo dei due protagonisti. L'assistente è al centro dell'azione d'aiuto: da lui parte la lettura del bisogno, in lui si origina la presunzione della risposta. L'Alter si smarrisce nella prepotenza zelante dell'Ego che aiuta; nulla di lui viene interpretato come forza, tutto di lui è interpretato nell'orizzonte del bisogno. L’assistenzialismo lo amplia a dismisura moltiplicando le dipendenze e relegando la persona disagiata nella scomoda e antisociale posizione dell'impotente elemosinato”. Se la relazione d'aiuto non può prescindere dalla relazione educativa allora viene da pensare che al di là delle etichette/qualifiche professionali (educatore, assistente domiciliare, OSA etc.) e delle competenze, chiunque si occupi della relazione di cura debba avere prima di tutto un pensiero educativo, che rimetta al centro l'Altro degno di cura, pena la sterilità del proprio lavoro.

Il confine che separa assistenza e educazione è molto sottile, in quanto ogni gesto assistenziale può avere un potenziale educativo e quindi di cura e supporto nei confronti dell’utente.

 

Qualità della vita: Educazione e Prevenzione

La ricerca educativa ragiona su un tipo di educazione definita “permanente”. La nascita di questo concetto si può far risalire a Comenio ed è intesa come educazione “lungo l’intero corso della vita”. È una crescita continua, che arriva fino alla vecchiaia, è per tutta la vita. L’educazione permanente favorisce il benessere e l’integrazione della persona, superando i pregiudizi.

In un mondo in cui  la velocità, la fretta, l’impazienza caratterizzano la nostra società spesso si cercano delle soluzioni immediate, come fossero delle ricette; la rapidità si scontra con le difficoltà della persona. Le soluzioni immediate vanno nella direzione dell’assistenza e, di conseguenza, il soddisfacimento del bisogno (come sostituzione di quello che manca) va nella direzione dell’esclusiva prestazione per compensare le mancanze della persona.

Si tende a sostituirla totalmente rendendola dipendente e senza prendere in considerazione le sue risorse e capacità ancora esistenti.

Un esempio lampante avviene nelle strutture residenziali, dove un numero elevato di unità, può comportare il rischio di trasportare le persone con le carrozzine da un luogo all’altro per far più velocemente, nonostante la persona potrebbe far da sola. Allo stesso modo c’è contraddizione nel momento in cui, non si fa muovere da sola la persona perché lenta, ma poi si utilizzano degli strumenti riabilitativi per favorire il movimento degli arti inferiori. L’istituzionalizzazione ha regole e una scansione del tempo standardizzata in cui una persona non ritrova più le sue abitudini, i suoi tempi e ritmi, ma deve adeguarsi alla vita organizzativa del servizio. Avere quindi la possibilità di proseguire il resto della propria vita nella propria casa sarebbe la scelta migliore per ritrovare i propri ricordi, le proprie abitudini e oggetti personali. L’intervento domiciliare può essere una risposta adeguata ai bisogni delle persone anziane. L’intervento domiciliare è un tipo di assistenza che va oltre l’aiuto alle attività quotidiane. Sostiene la persona nelle sue difficoltà,  promuovendone l’autonomia. L’attenzione viene posta al soggetto e al suo intero nucleo familiare. L’operatore costruisce un rapporto di fiducia, stabilisce un patto di alleanza con la famiglia, aiuta la persona a vivere quanto più positivamente la propria vita; osserva le condizioni dell’ambiente di vita della persona, presenza o assenza di figli, buoni o cattivi rapporti con i famigliari, problematiche economiche, oltre che fisiche e psichiche, culturali e altro. L’operatore  pone  attenzione al dettaglio, come ad esempio al modo in cui si esercitano le pratiche igieniche, senza fare troppo male, nota se la casa è molto fredda, se ci sono perdite di acqua, se c’è mancanza di cibo, se ci sono infissi poco funzionanti; la sua sensibilità anche in questo caso deve essere  supportata dalla professionalità. La persona ha delle necessità, dei bisogni, dei desideri, una dignità e vanno rispettati. I familiari hanno bisogno di conoscere e di avere informazioni ed essere rassicurati sul come muoversi, individuando insieme difficoltà, incertezze, paure e costruire un progetto di vita favorevole alla persona interessata. Partire dalle risorse delle persone, più che dalla mancanze, favorire lo sviluppo di queste, esercitarle costantemente, ci permette di lavorare in un’ottica preventiva. Accogliamo la persona così com’è con le sue risorse e le sue difficoltà. A qualsiasi età una persona ha necessità di sentirsi integrata, di socializzare, di avere rapporti interpersonali, sentirsi accolta e accettata. 

L’intervento domiciliare può aiutare anzitutto la persona ad accettare se stessa in modo da sentirsi al centro della propria vita ed essere accettata dall’altro.

Le teorie evolutive psicologiche dell’arco della vita (Schaie, Erikson, Baltes e Reese) sottolineano la continuità o la discontinuità tra gli stadi della vita come acquisizione, integrazione, innovazione o perdita rispetto allo stadio precedente. In chiave socio-culturale si fa riferimento a quella che viene definita “età sociale”, ovvero “l’età pubblica, attribuita a una persona da familiari, amici, conoscenti” ma anche “da una certa generazione, da una data società”.

A tutte le età l’accompagnamento educativo vede la persona come protagonista e fin dalla nascita ognuno modifica continuamente i propri ruoli, i propri doveri, le aspettative personali e degli altri. In chiave pedagogica si osserva una forma di traiettoria ciclica dell’intero corso della vita dell’uomo per l’impossibilità di suddividere chiaramente le tappe in regolare successione temporale. Questo per “l’esistenza di questioni irrisolte della vita umana che, periodicamente, si riaffacciano nella vicenda affettiva e relazionale delle persone in modo ciclico”.

I modelli stadiali che si basano sul concetto di irreversibilità degli stadi vitali, a nostro parere, è più funzionale che vengano sostituiti dalla teoria dello sviluppo di Levinson, secondo la quale la complessità dello sviluppo umano è la risultante dell’intreccio di aspetti fisiologici, sociali e personali. Levinson sostiene la profonda reversibilità dei processi psichici in relazione alla più grande varietà di stimolazioni (eventi) socio-ambientali e cognitive, che contraddistinguono le moderne società occidentali. Demetrio utilizza la parola “stato” e non “stadio” in quanto ogni stato, mentale o psico-sociale, è storicamente differente da ciò che accade prima o potrebbe accadere dopo. Mentre l’idea di stadio condanna al non ritorno, l’idea di stato preannuncia la possibilità di poter vivere condizioni prima mai sperimentate fino a che la malattia non infermi definitivamente, e modificare i nostri modelli cognitivi fino all’ultimo dei giorni. Nell’esperienza educativa degli adulti e degli anziani si può parlare di reversibilità nel senso di “possibilità di ritornare a studiare, a pensare, a creare, a educare gli altri”; irreversibilità cioè “l’esigenza di consolidare, perfezionare, arricchire, ciò che si è e si sa già fare”; continuità come “possibilità di operatività”; discontinuità cioè possibilità di ricevere “stimolazioni intellettuali, culturali, alfabetizzanti”; cambiamento quale possibilità di vivere “emozioni e sensazioni nuove, di esserci per sé e per gli altri”.

 

Essere sensibili oggi verso questi aspetti, favorirà in futuro la possibilità di essere adulti più capaci e meno bisognosi di assistenza, più autosufficienti e meno dipendenti, con una rete di relazioni più solida ed essere riconosciuti come portatori di desideri ed emozioni, in grado di accompagnare i giovani attraverso il proprio bagaglio di esperienze. Orientarsi in un’ottica preventiva dà delle possibilità in più. Promuovere il benessere significa prevenire il disagio, garantire la libertà di scelta e accompagnarla, assicurare il diritto a una vita autonoma e indipendente, pensando la persona come contenitore di emozioni, di risorse, di racconti del tempo passato, dei valori. La prevenzione è un fattore che dovrebbe andare anche oltre il lavoro del professionista, interessare maggiormente le politiche pubbliche sanitarie ed assistenziali, prevenendo sulle condizioni croniche e degenerative e realizzando progetti consoni alle vulnerabilità, all’inclusione e alla comunicazione. Si auspica di poter creare consapevolezza, autonomia e reti sociali di condivisione e aiuto; con uno sguardo al futuro. Questo potrebbe voler dire un giorno meno persone sole, meno persone bisognose di assistenza e più persone consapevoli, coinvolte in reti di mutuo aiuto, con amici e vita sociale. 

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1. a cura di Valentina Ghetti e Elisabetta Dodi, intervista a Cosimo Palazzo, “La riorganizzazione dei servizi sociali del Comune di Milano: spunti per affrontare il cambiamento”.

2. Franchini R. “Costruire la comunità che cura: pedagogia e didattica nei servizi d’aiuto alla persona “Franco Angeli” (pag.78-85)

3. Ibidem

4. Laslett, 1992

5. Ibidem

6. Demetrio D., “L’età adulta. Teorie dell’identità e pedagogie dello sviluppo” Roma, La Nuova Italia; Tramma S., “L’educazione degli adulti”, Milano, Guerini e Associati

7. Demetrio D., Tornare a crescere. “L’età adulta tra persistenza e cambiamenti”, Milano, Guerini e Associati

a cura di

Dora Caligiuri

e Caterina Majelli

 

Cooperativa Sociale Co.Esa

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Con il contributo di

Silvia Irmici

Francesca Degano

Nadia Gauzzi

Imma Giancola

Michela Latino

Anna Nardiello

Simona Tavano

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