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Il metodo di validazione delle competenze (VAE)

sperimentazione in Lombardia - Formazione Professionale

PREMESSA – IL WORKSHOP DEL TFO E IL METODO VAE

 

Nell’ambito del TFO è stato presentato ad un gruppo di giovani tirocinanti della Laurea Magistrale in Scienze Pedagogiche il metodo di validazione delle competenze, denominato VAE - Validazione degli Apprendimenti Esperienziali, sperimentato qualche anno fa in Lombardia dai dipendenti degli Enti di Formazione Professionale – tra cui alcuni dei conduttori del workshop – nell’ambito di un progetto di formazione promosso da ELGA (Ente Lombardo Garanzia Lavoratori della Formazione).

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Il metodo ha l’obiettivo di arrivare a valutare ed attestare apprendimenti maturati attraverso l'esperienza. Si configura come un vero e proprio dispositivo di validazione delle competenze, ispirato alle scelte metodologiche dei modelli di Francia e Gran Bretagna, paesi pionieri di questa pratica.

 

Sinteticamente, il metodo è finalizzato a produrre un Dossier personale di autovalutazione delle competenze attraverso i seguenti passaggi:

  1. fare un elenco di quelle che ognuno ritiene essere le competenze acquisite in una data esperienza (scolastica, formativa, di lavoro, di volontariato, ecc.) – NB. In alcuni contesti, più formali e normati, questo elenco può essere stilato a partire da un repertorio di competenze dato

  2. analizzare nel dettaglio una per una queste competenze per evidenziarne alcuni elementi costitutivi (es. conoscenze, abilità, atteggiamenti, ecc.)

  3. per ogni competenza, descrivere uno o più episodi che ne dimostrino in modo operativo il suo possesso da parte della persona, raccontando bene che cosa so fare, evidenziando come mi sono mosso, cosa ho operativamente fatto passo dopo passo per arrivare ad un certo risultato, quali sono state le mie strategie di azioni, ecc.

  4. in aggiunta ed integrazione alla narrazione degli episodi, produrre delle evidenze di quanto affermato nella narrazione, cioè dei documenti e/o delle testimonianze che ne avvalorino la veridicità

  5. infine, dare una valutazione sul proprio grado di possesso di ogni competenza.

Il processo si conclude con un confronto tra il soggetto che ha costruito il proprio Dossier e una commissione di esperti che, dopo averlo letto, lo valida e conferma, o modifica, l’elenco delle competenze possedute dal soggetto e il livello di possesso delle stesse.

 

Il presupposto teorico è che la competenza non è tale se non è riconosciuta in primis da se stessi, non tanto e solo nel senso che non si può dire di possedere una competenza se non si sa di averla (anche perché il metodo è volto proprio a far emergere le competenze “implicite”) ma piuttosto nel senso che vederla, riconoscerla e nominarla (quindi esserne consapevoli) permette di capire a che livello la si padroneggia e di cominciare a coltivarla, migliorarla e affinarla, ma anche di agirla in modo più consapevole.

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Il metodo ha una sua flessibilità (per esempio, l’ordine di effettuazione di alcuni passaggi può essere modificato), anche in funzione dei contesti e delle utenze in cui e con cui è applicato. Recentemente è stato sperimentato con adolescenti frequentanti i percorsi di IeFP – Istruzione e Formazione Professionale – di Enaip Lombardia, in particolare della sede di Busto Arsizio. Questa sperimentazione ha spinto i conduttori del workshop – tra cui erano presenti il coordinatore e una docente/tutor della sede di Busto – a  confrontarsi con e raccogliere osservazioni da un gruppo di persone esterne al contesto formativo in cui il metodo viene sperimentato e nello stesso tempo in possesso di competenze presumibilmente idonee a questo compito, come appunto le tirocinanti di Scienze Pedagogiche.

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Tra i modelli di formazione possibili all'interno dei percorsi di IeFP presentati nel workshop, quello denominato “formazione duale” si configura come una realtà innovativa, all'interno della quale si presenta una coesistenza tra operatori della formazione e chi si presta alla formazione, ovvero l'azienda. L'intero processo formativo è congiunto, a partire dalla fase della progettazione di massima, fino ad arrivare alla gestione dell'intera attività formativa. Ciò implica che scuola e azienda condividano in maniera paritetica la formazione della persona, la responsabilità formativa. Questo modello presuppone che l'allievo costruisca il suo sapere sia in contesto scolastico, toccando aspetti culturali, di teoria e tecnica professionale di base, che in contesto lavorativo, con conoscenza e tecniche professionali avanzate.

Il progetto di validazione delle competenze viene utilizzato all'interno di questo modello proprio per permettere all'esperienza personale e professionale, quindi formativa, degli allievi di essere rielaborata e riletta.

 

Nel workshop le studentesse hanno sperimentato di persona il metodo, con una breve simulazione che ha consentito loro di “mettersi alla prova” nell’esercizio di esplicitazione delle proprie competenze e al contempo di “mettere alla prova” il metodo. Le osservazioni che seguono sono il risultato di questa piccola esperienza di immersione nel metodo. Le abbiamo raccolte e sintetizzate per darne una prima restituzione e, a partire da questa, consentire a chiunque ne avesse interesse di approfondire la tematica della valutazione delle competenze. Nel corso del workshop sono stai distribuiti materiali di presentazione e approfondimento del metodo, che sono  disposizione di chiunque fosse interessato e sono stati inviati anche allo staff di gestione del TFO.

 

Il lavoro post-workshop è stato organizzato, di comune accordo con le partecipanti, chiedendo ad ognuna di loro di produrre un testo organizzato secondo tre punti:

  • un primo punto, che abbiamo chiamato “processo al metodo”, dove si individuano “punti forti”, “limiti” ed eventuali “proposte di miglioramento” o suggerimenti per rendere ancora più efficace, o estendibile, il metodo;

  • un secondo punto relativo alle possibili applicazioni del metodo in altri contesti rispetto a quello presentato (Istruzione e Formazione Professionale)

  • un ultimo punto relativo alle “questioni aperte”, a quei nodi problematici già emersi durante il workshop e che meritavano, secondo noi, un approfondimento.

 

A  questo primo giro di contributi a distanza, inviati da tutte l partecipanti, ne è seguito un secondo, di ulteriore commento da parte di alcune partecipanti che hanno scritto ulteriori osservazioni a partire dalla lettura di tutti i contributi delle loro colleghe.

Ovviamente i contributi sono stati diversi e di diverso livello, ma abbiamo scelto, in comune accordo con le partecipanti, di non evidenziare i singoli contributi, anche nel caso in cui uno di loro è stato quasi interamente riprodotto nell’organizzazione e nel testo della quarta parte del testo finale (cfr. sotto).

 

Il testo è stato organizzato in quattro parti:

  1. una prima parte di analisi, che riprende le osservazioni più generali delle parti relative al “processo al metodo”;

  2. una seconda parte, sempre di analisi, ma più focalizzata sulle singole fasi del metodo, quelle che le studentesse hanno sperimentato per così dire “in vitro”;

  3. una terza parte, dedicata a individuare possibili ambiti di applicazione del metodo, oltre a quelli dove è già stato applicato;

  4. infine, un’ultima parte, di discussione più approfondita, che riprende alcune osservazioni fatte nelle parti precedenti e le amplia, mantenendole in forma di domande aperte, questioni non risolte. Alla fine di questa parte è stata aggiunta una breve appendice, relativa all’interesse di questo metodo per dei professionisti dell’educazione di secondo livello.

 

Non abbiamo voluto intervenire ulteriormente – per esempio, dando una risposta (che molto spesso neanche noi abbiamo così chiara) alle tante questioni poste, che ci sembra debbano continuare ad interrogare chi utilizza e/o ha intenzione di utilizzare in futuro questo metodo, e a parte alcuni interventi di omogeneizzazione e semplificazione dei testi, – per dare visibilità alla ricchezza delle osservazioni e del dibattito che si è creato, sia in presenza che a distanza, tra le tirocinanti e tra noi e le tirocinanti.

 

L’unico intervento che abbiamo fatto è stato quello di organizzare il testo immaginando diverse scelte per le diverse parti: le prime due parti sono state disposte per punti, per rendere al meglio il confronto tra punti forti e punti di miglioramento del metodo, la terza in forma di brevi sintesi delle proposte delle tirocinanti, la quarta lasciando quasi intatta l’impostazione che una delle tirocinanti aveva dato al suo secondo contributo (un intervento successivo alla lettura di tutti i contributi delle sue colleghe). Anche in questo caso ci sembra che il risultato finale dia valore al lavoro svolto, soprattutto dalle tirocinanti.

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1. PROCESSO AL METODO

 

VALORE E SIGNIFICATO DEL METODO IN GENERALE

  • importanza della riflessione sull’esperienza

  • approccio di tipo autobiografico

  • consapevolezza del senso e del valore di ciò che si apprende

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Punti di forza

  • presuppone capacità riflessiva sulla propria azione, ma anche metacognitiva e auto-valutativa

  • consente lo sviluppo e “l’allenamento” ad una pratica autoriflessiva

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Limiti

  • è molto impegnativo in quanto richiede un significativo investimento e momento di analisi di se stessi

  • può essere di difficile utilizzo per le richieste metodologiche che sottende

  • richiede un certo grado di abilità pre-esistente di analisi, sintesi e di riflessione metacognitiva, una capacità non scontata di elaborazione e rilettura dell’esperienza

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Miglioramenti possibili / suggerimenti

  • per essere efficace il metodo richiede un supporto ed un accompagnamento la cui intensità è graduabile sulla scorta delle abilità e delle capacità riflessive e strumentali (scrittura) da parte dei partecipanti

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VALORE DELL’ESPERIENZA E RAPPORTO TRA AUTO ED ETEROVALUTAZIONE

  • il senso della presenza nel metodo del rimando al dato di realtà, agli episodi concreti, alle testimonianze delle persone: una competenza osservabile è una competenza che ottiene riconoscimento dagli altri e che quindi gli altri possono contribuire ad argomentare, dettagliare, costruire, rendere consapevoli

  • il punto di partenza è l’esperienza, che è centrale, ma essa va riletta, elaborata affinché se ne possa trarre apprendimento. Ma allora la competenza è tale solo se ne ho fatto esperienza? Se non ho fatto esperienza di quella competenza non la possiedo? Non la maturerò mai?

 

Punti di forza

  • riesce a creare un continuo ponte tra il livello di valutazione e percezione soggettiva e il livello di riconoscimento, di confronto con l’esterno, con l’Altro che ti valuta e con il dato di realtà

  • possibilità di realizzazione di un prodotto (il dossier) che permette, a me e agli altri, di “vedere” e “toccare” con mano il frutto dei miei sforzi, sia dal punto di vista del processo di autovalutazione sia da quello della mia esperienza formativa/lavorativa che ha generato tutto il materiale raccolto che rappresenta in qualche modo tutti i risultati ottenuti. Un prodotto di questo tipo può avere effetti notevoli sull’autostima e sulla motivazione

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Limiti

  • dire di saper fare qualcosa senza averne mai fatto realmente esperienza è una dichiarazione da scartare perché “non vera” o è da tenere in considerazione nei suoi aspetti di potenzialità, che, se coltivata e riconosciuta socialmente, può divenire una competenza spendibile?

  • se non ho fatto esperienza di una competenza non la possiedo = senza esperienza non ci sarebbero quelle testimonianze, evidenze, prove empiriche che in questo metodo costituiscono invece un riferimento di significativa importanza

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Miglioramenti possibili / suggerimenti

  • in ambito formativo si potrebbero creare occasioni di sperimentazione, che per quanto forzosa costruisce l’opportunità di costruzione dell’esperienza

 

 

TIPI DIVERSI DI COMPETENZE

  • le competenze sono tutte uguali?

  • differenza tra competenze tecnico professionali e competenze “trasversali”, “personali”

 

Punti di forza

  • il metodo riesce a tenere insieme i vari elementi che caratterizzano la competenza

  • per competenze in ambito esperienziale, caratterizzate quindi da una connotazione più pratica, il metodo proposto porta all’analisi minuziosa di ogni sotto-competenza. ; si innesca in tal modo un processo di riflessione sull’agito che risulta approfondito e dettagliato e che pone sotto la lente d’ingrandimento anche aspetti che di solito vengono dati per scontato

 

Limiti

  • può essere meno efficace nella valutazione di quelle competenze che risultino poco o difficilmente misurabili e osservabili (es. saper ascoltare, comprendere il punto di vista dell’altro, ecc.)

  • perplessità sulla valutazione delle competenze di carattere relazionale e sociale, perché rimandano a un mondo anche culturale e valoriale;

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Miglioramenti possibili / suggerimenti

  • approfondire la valenza delle competenze “trasversali”/”personali”:cosa vuol dire “saper ascoltare” o “comprendere il punto di vista dell’altro” senza che questo produca un azione concreta? Si rischia di rimanere nelle dichiarazioni di principio. Si possono chiamare “atteggiamenti”?

  • esplicitare la relazione tra il contesto in cui la competenza si esplica ed il sistema di relazioni che ne determina il valore ed il riconoscimento sociale (i “valori” di riferimento del contesto)

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CONTESTI (IN PARTICOLARE LA SCUOLA)

  • l’apprendimento esperienziale e la sua valutazione sono temi trasversali rilevanti in qualsiasi contesto formativo ed educativo: scuola, centri di aggregazione giovanile e altri servizi per minori, servizi per disabili, ecc.

  • la valutazione delle competenze riporta l’attenzione e la riflessione anche sui talenti degli alunni per far in modo che, da una parte, il personale docente si prenda in carico questi talenti e, dall’altra, gli alunni ne prendano consapevolezza

 

Punti di forza

  • il metodo ha il merito di aprire innanzitutto un canale di comunicazione autodiretto rispetto a un tema specifico, quello delle competenze, che raramente viene affrontato nella vita scolastica/professionale

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Limiti

  • difficoltà asegmentare in micro competenze tali da consentire di poter rintracciare, da parte di chi si avvicina alla formazione,propri aspetti di competenza

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Miglioramenti possibili / suggerimenti

  • esplicitazione della relazione tra “talento” e “competenza” (rischio di vedere il “talento” come qualcosa di non definito e definibile e quindi non evidenziabile e rinforzabile)

  • formazione dei docenti sulla valutazione delle competenze

 

 

VALIDAZIONE DELLE COMPETENZE E FORMAZIONE PROFESSIONALE

  • il metodo è in linea con il focus del modello di formazione professionale duale: la persona è concepita come soggetto attivo nel riconoscimento/valutazione delle proprie competenze

 

Punti di forza

  • applicato al contesto formativo professionale, e in particolare al modello di formazione duale, risulta interessante il passaggio attuato con questo metodo, che prova a risalire dalle prestazioni alle competenze, dall’esperienza alla sua rilettura, per riuscire ad accompagnare il/la ragazzo/a attraverso la sua esperienza lavorativa affinché sia anche formativa

  • molto utile e funzionale all'interno dei percorsi di Formazione Professionale, in quanto è uno strumento in grado di rendere esplicite e osservabili le competenze che ogni ragazzo possiede, ma non sempre è in grado di riconoscere a se stesso

  • può costituire un sistema di trasparenza che facilita la ricostruzione del proprio sapere professionalee rende evidente (apprezzabile) anche da terzi (es. nuovo datore di lavoro) le competenze sviluppate

 

Miglioramenti possibili / suggerimenti

  • importante un’“osservazione” non solo a conclusione del percorso formativo ma anche all’inizio per capire da dove si parte, con quali conoscenze e competenze già nel bagaglio, e per anticipare dove piacerebbe arrivare

  • la creazione di un legame, di un confronto tra le competenze di cui i ragazzi sono consapevoli e le competenze professionali che una certa professione necessita; in questo modo sarebbe possibile riflettere sulle competenze che necessitano di essere allenate, rinforzate, su cui lavorare e poter creare ulteriori percorsi personalizzati che permettano l’acquisizione di competenza, consapevolezza e maggior professionalità

 

 

STANDARDIZZAZIONE/PERSONALIZZAZIONE

 

Punti di forza

  • la dimensione narrativa consente di “intendersi” nella declinazione di competenze di profilo spesso descritte in modo troppo generale e poco aderente alle esperienze maturate dai singoli

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Limiti

  • difficoltà nella standardizzazione dei risultati: qualora fosse necessario un confronto fra più valutazioni, bisognerebbe pensare ad una standardizzazione che renda confrontabili i risultati

 

Miglioramenti possibili / suggerimenti

  • riproponendo nel tempo il metodo valutativo a figure professionali dello stesso tipo, si potrebbe creare un archivio di indicatori che permettano di confrontare tra di loro più valutazioni, studiare gruppi di valutazioni, elaborare delle conclusioni; l’archivio di indicatori andrà arricchendosi nel tempo, permettendo l’elaborazione di riflessioni sempre più complesse

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FATTORE TEMPO

 

Punti di forza

  • se manutenuto nel tempo, il metodo consente di porre in evidenza la crescita professionale dei singoli facilitando la lettura della capacità di affrontare situazioni di crescente difficoltà e in cui sia richiesto un maggior livello di autonomia e di relazione con soggetti differenti

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Limiti

  • per profili professionali caratterizzati da competenze numerose e complesse, una valutazione di questo tipo richiede una tempistica molto lunga, nonché un impegno notevole

  • l’impegno temporale (elevato) che, inevitabilmente, richiede

 

Miglioramenti possibili / suggerimenti

  • il processo di valutazione deve essere rifatto periodicamente, in quanto le competenze dell’individuo variano nel tempo

 

 

CONDIVISIONE (LAVORO DI GRUPPO/LAVORO INDIVIDUALE)

 

Punti di forza

  • la formazione all’uso del metodo costituisce anche una pratica, necessaria per poi applicarlo, di condivisione di un “vocabolario” e di un ”lessico” sulle competenze

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Limiti

  • sembra mancare un aspetto di condivisione all’interno delle fasi del metodo

 

Miglioramenti possibili / suggerimenti

  • uno spazio di condivisione risulta necessario perché dalla condivisione si trae formazione e riconoscimento reciproco (es. durante la condivisione dell’esercizio svolto in aula mi sono ritrovata in alcune competenze e segmentazioni descritte dalle mie colleghe di lavoro ed in modo particolare la declinazione delle competenze mi ha permesso di capire quali aree devo sviluppare maggiormente e in quali mi sento più sicura)

  • sembra contenere almeno le potenzialità e i presupposti della condivisione, sia dal punto di vista teorico (rimando all’esperienza, al dato di realtà, a persone, episodi e testimonianze, a relazioni) sia dal punto di vista concreto nei suoi aspetti di “costruzione” (del dossier, della griglia di segmentazione delle competenze) che può essere rinegoziata affinché possa prevedere momenti di condivisione e co-costruzione.

 

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APPLICABILITA’ CON TUTTI I TIPI DI UTENZA?

  • applicabilità del metodo a soggetti con difficoltà oggettive nella scrittura (es. situazioni di bassa scolarità, disabilità, etc..)

  • la scrittura come strumento privilegiato

 

Punti di forza

  • la ricostruzione di fasi di lavoro a partire dall’esperienza può essere affrontata con un linguaggio estremante semplice o con un linguaggio tecnico che consenta di far emergere, oltre le dimensioni più operative, anche le conoscenze che sottendono la competenza

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Limiti

  • può essere, a tratti, uno strumento troppo riflessivo, che comporta comunque una capacità non banale di scrittura e rilettura del contesto e dell'esperienza vissuta

  • in determinate situazioni può risultare limitante e poco utile il mezzo della scrittura

  • perplessità sull’unicità del mezzo comunicativo: la scrittura. Quanto questo strumento può essere selettivo per chi ha DSA, per chi non predilige il canale verbale o per chi non è madrelingua?

 

Miglioramenti possibili / suggerimenti

  • è necessario pensare ad un accompagnamento all’utilizzo di questo metodo che aiuti chi possa trovarsi più in difficoltà ad entrare in una dimensione di osservazione ed ascolto di quello che gli accade e di ciò che fa nella quotidianità lavorativa. Come ogni altra competenza, anche quella del saper parlare di sé approfondendo, del comprendere quale sia il proprio margine di potere e controllo sul mondo esterno e quali aspetti lo caratterizzino concretamente, va allenata. In un’ottica di lungo periodo come un percorso di formazione sarebbe interessante sperimentare brevi ma costanti esercizi che si pongano questi obiettivi, per arrivare poi a utilizzare il metodo presentato come un ulteriore passo in avanti che si concluda nella costruzione del dossier.

  • può essere affiancato ad altri strumenti potenzialmente più congeniali alle specificità di ciascuno: una serie di fotografie con didascalia, un video, una storia a fumetti, un role-playing (la forma teatrale in generale), insomma, mezzi “altri” che possano però aiutare la persona a dettagliare e specificare i contesti/gli episodi di apprendimento/potenziamento /utilizzo di una data competenza.

  • l’autovalutazione dovrà essere guidata. Inoltre bisognerebbe pensare a strumenti alternativi alla scrittura per la realizzazione dei vari step (es. video, registrazione di conversazioni orali, ecc.)

  • va mantenuto un lavoro di affiancamento dei tutor per poter stimolare costantemente gli allievi ad una riflessione, suggerendo anche strumenti e metodi alternativi

  • una metodologia alternativa potrebbe essere quella di delineare le competenze partendo non più dalla scrittura, ma dal disegno o dalla musica, attraverso percorsi con professionisti (es. arteterapisti). Iniziando il percorso con strumenti e mezzi alternativi, seguendo vie e percorsi con sperimentazioni nuove, si potrebbe infine giungere comunque a delineare le proprie competenze, sotto la forma della scrittura, come pensato in origine

  • potrebbero essere sperimentati metodi alternativi come ad esempio la produzione di un disegno, di una fotografia, la ricerca di un’immagine significativa, di una musica o di una canzone

 

 

2. LE FASI DEL METODO

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1. Elencare le proprie competenze: cosa so fare?

 

Punti di forza

  • apertura di uno spazio di riflessione in cui si sospende l’azione e si riflette su se stessi, sul proprio operato e sulle proprie esperienze di vita

  • se vissuta in maniera costruttiva, questa fasepuò diventare uno strumento di supporto ad alcune situazioni di disagio e soprattutto di esclusione sociale, in cui l’individuo sente minata la propria autostima e non riconosce un proprio ruolo all’interno della società

  • l’attività è interessante in quanto richiede un coinvolgimento attivo del soggetto che quindi deve far leva sulle proprie risorse e sperimentarsi comeregista del proprio processo valutativo

 

Limiti

  • momento delicato, soprattutto per soggetti che si trovano ad attraversare un disagio o ad avere una bassa stima di sé

  • una difficoltà personale è stata proprio quella di ripensarmi in prima persona, sia dal punto di vista personale che professionale, cercando di selezionare nel modo corretto quelle che sono le mie competenze e cercando di distinguerle dalle capacità

  • difficoltà nella stesura delle competenze cercandole tra l’ambito personale e l’ambito professionale, probabilmente riducendo la selezione ad un’unica area precisa questo processo potrebbe risultare meno difficoltoso.

 

Miglioramenti possibili / suggerimenti

  • il lavoro va adeguatamente supportato in modo che l’individuo si senta confortato e sostenuto nell’esplicitazione delle proprie capacità e nella traduzione di esse in parola

 

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2. Scegliere una competenza: dove l’ho appresa?

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Punti di forza

  • la rielaborazione della propria esperienza formativa e di vita può portare un valore aggiunto: la riemersione di aspetti dimenticati e di figure chiave della propria storia formativa e di vita, nonché l’elaborazione di nuovi modelli da seguire

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Limiti

  • il soggetto potrebbe essere impreparato ad un tale lavoro di ricostruzione (pensiamo ai casi di vissuti difficili o situazioni di disagio)

  • difficoltà nel ripescare tra i ricordi, cercando di scavare a fondo e rendendo il ricordo sempre più chiaro, man mano che procedevo.

 

Miglioramenti possibili / suggerimenti

  • potrebbe essere necessario un attento supporto da parte di un supervisore

 

 

3. Dettagliare ciascuna competenza in sotto-competenze o competenze più specifiche

 

Punti di forza

  • si mette in pratica una sorta di “razionalizzazione” del processo, focalizzando ogni singolo passaggio e mettendo a fuoco anche dettagli dati per scontato

 

  • contestuale riflessione sulle singole micro-attività e l’individuazione di margini di miglioramento.

 

  • questo lavoro ha richiesto molta attenzione ai particolari, che spesso lasciamo nell'implicito, nel non detto, nel non visibilema che sono fondamentali per poter fare esperienza di quella competenza e renderla osservabile.

 

Limiti

  • operazione non semplice, che non sempre può essere effettuata correttamente in maniera autonoma, alcuni soggetti infatti potrebbero avere difficoltà nel riordinare in maniera logica azioni e interventi

 

  • difficoltà di tradurre ciascuna azione in parola, difficoltà che diventa significativa per soggetti con poca proprietà lessicale

 

  • spacchettare e incasellare un’esperienza penso sia limitante per la soggettività e il vissuto di ogni ragazzo

 

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4. Individuare le evidenze che documentano il possesso della competenza

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Punti di forza

  • l’individuazione di un’evidenza permette di mettere in atto un raccordo tra l’aver fatto e il dimostrare di saper fare

  • operazione di collegamento che può risultare generatrice di nuove idee/prospettive

 

Limiti

  • molte attività non sono giustificabili e questo problema, ripetuto più volte, può rendere il lavoro frustrante

 

 

5. Raccontare un episodio in cui è stata agita quella competenza

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Punti di forza

  • conferisce valore all’esperienza situata, dando al soggetto una percezione di concretezza

  • rappresenta un momento obbligato di riflessione dell’esperienza, indispensabile per generare apprendimento

  • anche in questo caso si è trattato di ripercorrere episodi di vita vissuta, raramente riletti sotto questa visione così specifica e dettagliata.

  • richiede di ripercorrere nei minimi dettagli le esperienze in questione permettendo un’ulteriore lavoro di presa di coscienza, di riflessione e di rielaborazione

 

Limiti

  • difficoltà espressive che impediscono una descrizione fedele e minuziosa, nonché imprecisione nel ricordo degli eventi

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3. AMBITI DI APPLICAZIONE

All’interno di servizi o contesti educativi, come le comunità o utenze come la disabilità (con i dovuti accorgimenti)  o come i percorsi rivolti ad utenti in situazioni di disagio ed esclusione sociale: pensiamo ad esempio a soggetti che si trovino ad affrontare un percorso di reinserimento (detenuti, senza fissa dimora, disoccupati, ecc.), ma anche con ragazzi che frequentano i Centri di Aggregazione Giovanile o altri servizi per minori. Attraverso questa metodologia, si potrebbe infatti procedere alla creazione di un portfolio di competenze indispensabile sia per la ricerca di un lavoro, sia come strumento di orientamento personale nelle scelte professionali e di vita.

 

All’interno di percorsi formativi, come quelli dell’Istruzione e Formazione Professionale (IeFP), nei quali potrebbe essere valorizzato in particolare l’aspetto metacognitivo del metodo. Dove infatti viene dato grande risalto alle competenze, come nell’IeFP, si rischia di creare un’antitesi tra il “saper fare” e il “sapere”. Questo metodo potrebbe permettere di sostare ancora nel campo del “sapere” per prendersi del tempo e riflettere su quale sia l’obiettivo e il suo significato e su come e quando è stato raggiunto.

 

Ma, più in generale, in tutti ipercorsi formativi, anche scolastici, il metodo potrebbe essere utilizzato per tenere salda la motivazione all’apprendimento nei momenti di difficoltà. In particolare con i ragazzi con ADHD, caratterizzati da autostima frammentata e che spesso ritengono fallimentare il loro impegno nei contesti scolastici, può essere un’occasione per sviscerare le distorsioni cognitive, rimanere ancorati alla realtà e trovare gratificazione.

 

Nella formazione potrebbe essere utilizzato anche come strumento di secondo livello per valutare la qualità della formazione erogata: si potrebbe pensare infatti di proporre questa autovalutazione agli studenti in più fasi del loro percorso formativo (es. inizio/metà/fine). Confrontando i dati ottenuti, si potrebbe avere una fotografia dell’evoluzione delle competenze del soggetto e di conseguenza riflettere sulla qualità della formazione erogata.

 

Inoltre il metodo potrebbe essere utile ai formatori e ai docenti per riflettere e prendere consapevolezza delle proprie capacità, per non cadere nella routine della quotidianità ma riflettere sui vissuti e sul proprio agire, come riflessione sugli aspetti professionali e sulle competenze ancora fragili che necessitano di ulteriore sviluppo e lavoro.

 

All’interno del percorso universitario di formazione degli educatori , in particolare nell’ambito del tutoraggio ai tirocini, il metodo potrebbe costituire una modalità più strutturata, profonda e interessante di comprendere che cosa si sta facendo, cosa si sta imparando e come ci si colloca rispetto a quegli apprendimenti, potrebbe aiutare non solo ad autovalutarsi ma anche a valutare con consapevolezza, entrando in una dimensione di condivisione gruppale che è molto significativa soprattutto al primo anno. La condivisione delle competenze dell’educatore professionale apprese a lezione, la loro analisi e segmentazione, il loro ritrovamento negli episodi di tirocinio, la costruzione di griglie condivise, il contributo alla valutazione di ciascuno sono momenti che potrebbero essere introdotti con successo e guadagno formativo forte perché spendibili anche successivamente in ambito lavorativo.

 

L’applicazione del metodo potrebbe anche estendersi al di fuori dell’ambito scolastico e universitario ed essere utilizzato anche testi aziendali e più in generale negli ambiti di cui si parla di formazione e di acquisizione di competenze.

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Il metodo infatti potrebbe permettere una rilettura della propria professionalità, che spesso manca negli ambiti lavorativi, nei servizi, in particolare all’interno delle équipe, dove può permettere di attuare un confronto e uno scambio paritetico tra persone che svolgono lo stesso lavoro e che perseguono lo stesso mandato educativo, può supportare la nascita e la manutenzione di una comunità di pratica, con la possibilità che una stessa competenza sia valutata dai membri di un gruppo, condividendone poi i risultati. Il materiale prodotto dal confronto tra professionisti potrebbe rappresentare una base da cui partire per elaborare delle buone pratiche e perseguire azioni di miglioramento.

 

Sempre nei servizi, il metodo potrebbe essere applicato al momento e all’ambito della valutazione di un servizio. Si pensi, ad esempio, ad un servizio educativo. Un team di valutatori potrebbe elencare alcune competenze del servizio e attivare gli step per ciascuna competenza, proprio come si fa per il bilancio individuale. Ovviamente il team di valutatori dovrebbe poi coinvolgere le figure interessate a ciascuna competenza. Si tratta di un lavoro articolato, ma che darebbe vita ad una valutazione partecipata del servizio, coinvolgendo tutti punti di vista di chi ci lavora.

 

Infine, come tutti i metodi valutativi, anche questo potrebbe essere utilizzato come strumento di ricerca, sia individuale che collettiva. Le tappe da seguire sarebbero:

  1. individuare una competenza

  2. effettuare la valutazione

  3. elaborare un piano di miglioramento

  4. attuarlo

  5. rieffettuare la valutazione.

 

Si tratta ovviamente di un ciclo da ripercorrere più volte.

 

 

4. DOMANDE APERTE

 

La discussione avviata prima in aula e poi a distanza tra le tirocinanti ha permesso di evidenziare delle questioni, che, poste sotto forma di coppie di sostantivi in apparenza antitetici, vengono presentate come domande aperte, problematiche. Abbiamo preferito lasciarle così, sia perché in alcuni casi ci sembra che rispondere voglia dire eliminare arbitrariamente un elemento di ricchezza sia perché in molti casi probabilmente non c’è una risposta univoca, il metodo può essere indirizzato e “piegato” da una parte o dall’altra, a seconda delle volontà progettuali e dagli obiettivi di chi lo usa.

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In generale, saper sostare nel paradosso e nell’ambivalenza è un posizione molto fertile per degli educatori, perché consente di non chiudere i problemi e le domande e di lasciare aperte le questioni.

 

Validazione o valutazione?

Le parole che usiamo non sono mai neutre, ma portano con sé una storia, dei significati, delle rappresentazioni, dei vissuti. Perciò è importante interrogarsi sulle attribuzioni di senso delle parole in uso che vengono date in modo individuale e costruite a livello sociale. Ad esempio, che tipo di relazione intercorre tra validazione e valutazione? Come si è passa dalla validazione alla valutazione? Possiamo declinare la prima come processo volto a dare validità, attraverso una documentazione, la seconda come processo volto a dare valore, attraverso l’individuazione e il riconoscimento. Ma queste sono le uniche accezioni possibili?

 

Valutazione o autovalutazione?

Nelle riflessioni condivise sono emersi due possibili impieghi di questo modello: uno individuale, l’altro sociale. Il primo è da intendersi come strumento formativo di autovalutazione, interessante per la promozione della consapevolezza di sé e, più nello specifico, la crescita della propria autostima, il riconoscimento delle proprie possibilità di apprendimento ulteriore e l’orientamento delle proprie competenze in funzione del contesto e degli obiettivi da perseguire. Il secondo è relativo alla possibilità e necessità di un riconoscimento sociale, tra soggetti che appartengono alla stessa comunità, riconducibile a un bisogno di vedere soddisfatti i propri bisogni e allo stesso tempo avere garanzia rispetto alla qualità della risposta ricevuta.

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Entrambi questi impieghi costituiscono un elemento di grande importanza su cui fermare l’attenzione, soprattutto da parte di chi si sta formando come professionista dell’educazione.

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Ogni modello di valutazione, infatti, si costruisce sulla base di criteri specifici che fanno riferimento a specifiche rappresentazioni sociali e individuali di persona, cittadino, lavoratore, studente, figlio ecc.. coi quali confrontarsi e rispetto ai quali tendere o addirittura adeguarsi. Come si giunge alla costruzione di queste rappresentazioni? Come avviene la loro affermazione e divulgazione? Come dialogano tra loro rappresentazioni e aspettative individuali e sociali?

 

Competenze ed evidenze

Uno degli aspetti sui quali abbiamo maggiormente riflettuto a seguito della sperimentazione in aula del modello di valutazione in oggetto è quello del rapporto tra competenze ed evidenze.

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Posto che la possibilità, e sempre più frequente necessità, di rendere visibile l’apprendimento è questione che interroga da più parti il mondo dell’educazione (cosa significa rendere visibile? Attestare la presenza o assenza? Registrare il grado relativo? Rendere osservabile, documentabile, riconoscibile, oggettivo, quantificabile? È davvero possibile? E a che pro?), come è possibile documentare le competenze derivanti dall’apprendimento esperienziale? Cosa è da intendersi come evidenze?

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Nel workshop le evidenze sono state definite come “documenti che attestano il conseguimento della competenza”. Quale può essere la natura di questi documenti? Cosa rientra nella categoria e cosa no?

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Sembra emergere la sostanziale differenza che intercorre tra competenze legate a un saper fare concreto e quelle relative a un sapere cognitivo e relazionale. Questo non è da interpretare come differenza nel grado di qualificazione della competenza, tuttavia come è possibile documentare quelle competenze che afferiscono a un sapere prettamente immateriale? Sono lecite, ad esempio, oltre ad attestati e certificati validati, fotografie, video, dichiarazioni, autodichiarazioni, testimonianze tramite interviste? Se no, eventualmente perché?

 

Verificabilità o falsificabilità?

Nella sperimentazione del modello in aula, dopo la definizione di un primo elenco di proprie competenze, abbiamo provato a soffermarci su una di queste per riconoscere le esperienze formative che ci hanno portato alla sua acquisizione, quindi cercato le evidenze relative e narrato un episodio in cui la competenza in oggetto fosse esplicitata. Il processo messo in atto sembra procedere secondo un paradigma di verificabilità, ovvero di ricerca di dati che supportino la tesi iniziale. Questo fa nascere alcuni dubbi in merito alla validità del modello proposto: non si corre il rischio di trovare esattamente quello che si sta cercando, trascurando ciò che invece comporterebbe la messa in discussione del punto di vista assunto all'inizio del processo?

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Partendo dal presupposto che questo rischio sussista e volendo trovare strategie utili per farne fronte, si giunge alla domanda: è possibile adottare un paradigma di natura differente?

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Il discorso filosofico relativo alla falsificabilità sembra dare risposta alla domanda proponendo di dare validità alla tesi iniziale fino al conseguimento di una prova contraria, fino all'emergere, quindi, di dati in grado in smentirla, o quanto meno metterla in discussione.

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Per tornare al modello di valutazione delle competenze preso in considerazione, quest’ultima prospettiva, volta alla falsificazione della tesi iniziale, potrebbe (o dovrebbe) tradursi nella possibilità di tornare in modo ciclico e ricorsivo sulla competenza in oggetto, per esempio attraverso la narrazione di più episodi atti a dimostrare l'effettiva acquisizione di una competenza specifica.

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Un processo di valutazione di questa natura avrebbe l'ulteriore vantaggio di restituire i cambiamenti relativi all’andamento del processo di acquisizione di una determinata competenza nel tempo.

 

È possibile, infatti, pensare che le competenze si trasformino in relazione alle esperienze formative che si attraversano? Oppure è opportuno pensare che queste, una volta acquisite, rimangano immutate per tutto il corso della vita?

 

Processo intensivo o estensivo?

La riflessione condotta in merito alla possibilità di strutturare la valutazione delle competenze dell’apprendimento esperienziale in modo ciclico e ricorsivo porta una riflessione ulteriore: il modello di valutazione in oggetto propone l’analisi di una competenza alla volta, oppure invita a un confronto incrociato delle differenti competenze acquisite dal soggetto?

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L’una strada consentirebbe uno studio in profondità, con presa di coscienza rispetto al grado di padronanza di una competenza specifica e alle variabili che entrano in gioco nella messa in atto della stessa; l’altra darebbe la possibilità di cogliere continuità e discontinuità nelle diverse esperienze osservate, e contribuire a una definizione del soggetto meno frammentata e che tenga conto della sua complessità.

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Queste due declinazioni del modello di valutazione discusso si escludono a vicenda o è possibile pensare a un loro impiego integrato? Da un punto di vista prettamente teorico sembra che la potenza di questo modello consista proprio nell’integrazione e interrelazione di questi due approcci.

 

Contestualizzazione delle proprie competenze

La sperimentazione svolta in sede di workshop, dopo aver proposto di fermare l’attenzione su una competenza specifica, ha portato al riconoscimento del fatto che attraverso la narrazione di un episodio di vita è possibile contestualizzare la competenza presa in esame, in modo da riconoscere, circoscrivere, dettagliare e descrivere le variabili che rientrano nella messa in campo della stessa.

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Questo processo di contestualizzazione, da una prima riflessione di ordine generale (es. “parlare francese”), a una più specifica (es. “raccontare la mia giornata in lingua francese”, che è diverso da “riassumere la trama di un film in lingua francese”), se da un lato può risultare riduttivo, dall'altro è ciò che consente di acquisire consapevolezza rispetto ai confini dell’area di competenza realmente posseduta dal protagonista del processo di valutazione, quindi, di costruire un maggior grado di autostima e fiducia in se stessi, oltre che di credibilità e senso di responsabilità rispetto alle competenze di cui si è portatori.

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Ciò che preme sottolineare è che la possibilità di circoscrivere l'area di una competenza, così come di individuare e documentare attraverso evidenze l’effettiva padronanza della stessa, apre una discussione in merito alla fattibilità e validità del modello proposto: quando è lecito pensare che il processo di ricerca e approfondimento delle competenze maturate sia concluso? Più nello specifico, quale criterio orienta la definizione della contestualizzazione di una competenza e la ricerca delle sue evidenze? Quanto è opportuno procedere, senza correre il rischio di cadere in un paradosso?

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Dal momento che le variabili che determinano la definizione di una data competenza sono plurime e diversificate, possono venire di lontano, essere indipendenti dal soggetto e a lui perfettamente ignote, il processo di individuazione e circoscrizione del grado di possesso di una determinata competenza, così come il riconoscimento delle evidenze relative rischia di essere infinito. Chi pone, e sulla base di quali criteri, un limite al livello di dettaglio e contestualizzazione del grado di padronanza di una determinata competenza, come pure all’individuazione delle evidenze relative?

 

Deduttivo o induttivo?

Data l’esperienza condivisa durante il workshop, ci sembra possibile sostenere che il modello di valutazione in questione, muovendo dalla definizione delle proprie competenze, alla ricerca delle esperienze formative e delle evidenze relative, quindi alla narrazione di un episodio esemplificativo della messa in campo della competenza in oggetto, risponda a una logica deduttiva di costruzione del pensiero. Secondo questa logica è infatti possibile giungere alla formulazione di conclusioni di ordine generale sulla base di passaggi razionali di analisi e messa in relazione di dati particolari (es. “parlo francese dal momento che ho frequentato un liceo linguistico con seconda lingua francese/ho conseguito la certificazione europea di idoneità linguistica/ho fatto un’esperienza Erasmus di sei mesi a Parigi, e i seguenti documenti lo certificano”).

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È possibile immaginare il ricorso a una logica differente, per esempio di matrice induttiva, che consenta di partire dall’osservazione di una o più esperienze in cui si mette in campo una competenza specifica per giungere a una definizione generale della stessa?

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Il vantaggio di questo secondo approccio rispetto al primo risiederebbe nel fatto che in esso acquista maggior rilevanza l’aspetto definito in sede di workshop del “racconto”, quindi delle narrazioni di occasioni in cui si esplicita il possesso e il grado di padronanza di una competenza, piuttosto che la “griglia”, componente di ricerca delle esperienze formative e delle evidenze che documentano il conseguimento di una data competenza, rispetto alla quale più sopra si sono già espresse forti perplessità.

 

Individuale o di gruppo?

In aula è stato sperimentato il modello di valutazione delle proprie competenze in modo individuale, riservando un spazio di condivisione e discussione sul processo attraversato solo in  fase conclusiva; nella stessa sede è stato tuttavia introdotta la riflessione in merito all'uso di questo strumento di valutazione in contesti di gruppo. Quali possono essere i vantaggi e i limiti di questo secondo impiego? Quanto la dimensione di gruppo contribuisce o risulta essere necessaria alla realizzazione di una significativa valutazione delle proprie competenze?

Per rispondere a questa domanda è utile chiedersi qual è il ruolo dei soggetti altri rispetto al protagonista dell'apprendimento esperienziale in oggetto, comunque coinvolti nel processo di valutazione. In prima istanza, emerge l'idea che gli altri possano ricoprire una funzione di sostegno e accompagnamento durante il percorso di individuazione, riconoscimento ed esplicitazione delle proprie competenze da parte del protagonista dell'esperienza di apprendimento. Questo aspetto se da una parte sembra riportare l'attenzione a quanto già proposto nella precedente contributo, in merito al principio di interdipendenza dei soggetti appartenenti alla medesima comunità sociale, dall'altra sembra corrispondere a una prospettiva socio-costruttivista tale per cui il processo di costruzione della nostra identità chiama in causa noi stessi quanto gli altri, la dimensione sociale, territoriale e storico-culturale di riferimento. Gli elementi critici che ne conseguono sono relativi alla necessità di predisporre un contesto relazionale che consenta la costruzione condivisa della valutazione, che risponda quindi a criteri di astensione dal giudizio, ascolto reciproco attivo, valorizzazione delle risorse e dei limiti, questi ultimi nei termini di possibili occasioni di ulteriore apprendimento.

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Una seconda funzione ricoperta da quelli qui sommariamente definiti come altri rispetto al protagonista dell'apprendimento esperienziale è quella di fornire le evidenze necessarie alla documentazione delle competenze. A questo proposito tornato utili le questioni trattate nel precedente scritto in merito alla possibilità che gli altri siano a un tempo, e per interessi di ordine sociale, giudici e testimoni. Qualsiasi persona può prestarsi in qualità di testimone? Oppure si rende necessaria la definizione dei criteri di selezione dei testimoni, in modo da tutelare il processo di documentazione e valutazione da possibili accuse di parzialità e insufficiente credibilità?

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Stando a quanto emerso in aula, gli altri possono essere inoltre coinvolti, sulla base di una condivisione dei processi di valutazione delle proprie competenze, nella costruzione di una griglia osservativa e valutativa generalizzata. Questo comporta il vantaggio di incrociare differenti punti di vista e provare a dare una visione più integrata dello spettro di approfondimento relativo a un'unica competenza; per contro, questo pone in evidenza la possibilità che nel processo di definizione di un modello condiviso e generalizzabile, si vadano perdendo le specificità dei singoli soggetti e delle relative competenze.

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Da ultimo, è utile pensare agli altri nella loro funzione di verifica e valutazione del processo in oggetto. La necessità di rendere gli altri garanti dell'esplicitazione e della documentazione delle competenze acquisite risponde alle già discusse motivazioni poste all'origine del riconoscimento sociale, ma reca in sé dei rischi rispetto al fatto che la valutazione venga agita e percepita come valutazione del soggetto, più che del processo di valutazione messo in atto o della competenza specifica presa in considerazione.

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Sembra quindi interessante provare a pensare l'impiego del presente modello di valutazione delle competenze in relazione a una dimensione di gruppo, per esempio un servizio socio-educativo, all'interno del quale la definizione plurale dei soggetti coinvolti nell'esperienza di apprendimento introduce una variabile finora inesplorata. Come proporre il modello a un gruppo? Come arrivare alla costruzione di una consapevolezza condivisa rispetto al grado di padronanza delle competenze interne al servizio? Si immagina, dal momento che non si ha avuto modo di esperirlo, che il processo di valutazione così ridefinito debba tener conto delle dinamiche interne al gruppo, delle rappresentazioni implicite e delle aspettative reciproche. Il processo, complesso per la molteplicità e varietà delle sue implicazioni tanto sul piano socioculturale, quanto su quello emotivo-relazionale, sembra tuttavia portare a un grande guadagno formativo all'interno dell'organizzazione di riferimento, nei termini di costruzione identitaria del gruppo e di costruzione di una cultura condivisa.

 

Adozione o costruzione di una “griglia” di valutazione?

Stando al tipo di ragionamento condotto in sede di workshop, è emersa la duplice possibilità di ricorrere a una griglia di valutazione prestabilita, da una parte, e di costruzione di una griglia di valutazione da parte dei soggetti protagonisti dell'apprendimento esperienziale in oggetto, dall'altra.

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La scelta del primo o del secondo strumento nel processo di valutazione discusso attribuisce un differente ruolo, quindi, un differente grado di libertà, nella rielaborazione della propria esperienza da parte dei soggetti coinvolti, apparentemente più passiva nel primo e più attiva nel secondo.

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É possibile pensare che la scelta dipenda da diversi obiettivi di lavoro e di valutazione prefissati?

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Entrambi gli strumenti, a un primo livello di indagine, mostrano alcune criticità: quanto l'adozione di una griglia di valutazione tiene conto delle singole specificità dei soggetti che intendono valutare le proprie competenze? Quanto, invece, la costruzione di una griglia di valutazione da parte dei protagonisti dell'esperienza di apprendimento è passibile di generalizzazione? Quanto può estendersi il suo impiego? Qual è, quindi, il grado di validità relativa?

 

Flessibilità o rigidità?

Il modello di valutazione preso in considerazione sembra presupporre un'idea ben precisa e strutturata, anche se implicita, rispetto ai suoi possibili destinatari: esso non si rivolge a soggetti indistinti, ma a soggetti in possesso di competenze consolidate  in merito alla riflessione e rielaborazione meta-cognitiva delle proprie esperienze di apprendimento, alla narrazione delle stesse e all'uso della lingua italiana (ci si potrebbe interrogare rispetto a cosa significhi l'espressione relativa al possesso di competenze consolidate e a quale sia il relativo grado di consolidamento sufficiente per consentire un adeguata fruizione del modello in oggetto).

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Pensando alla varietà dei contesti educativi in cui ci troviamo a operare in qualità di professionisti dell'educazione, è auto-evidente come i soggetti protagonisti degli apprendimenti esperienziali siano plurimi e diversificati; sorge quindi spontanea una domanda: quanto il modello che ci è stato proposto è prodotto predefinito e adottato in modo rigido? Quanto invece è il risultato di un processo di ricerca e analisi del contesto specifico in cui viene adottato, degli obiettivi che ci si è posti e dei soggetti ai quali si rivolge? A partire dall'esperienza vissuta in aula, non è immediatamente comprensibile quale possa essere il livello di ridefinizione del modello di valutazione in oggetto, eppure la questione, da un punto di vista pedagogico, sembra centrale.

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A titolo esemplificativo si può riprendere il discorso introdotto durante il workshop a proposito dell'uso della scrittura come strumento comunicativo privilegiato: è sempre così? Se esistono, quali sono i criteri sulla base dei quali si è individuato questo canale di comunicazione? Non c'è alcuna intenzionalità di fondo, per cui è possibile pensare di sostituire la scrittura con altri strumenti? Si dà per scontato che tutti abbiano lo stesso grado di acquisizione e padronanza dello strumento? Oppure la scelta risponde a degli obiettivi specifici che ci si è prefissati (ad esempio promuovere lo sviluppo di una competenza specifica rispetto all'uso della scrittura perché si tratta di un canale comunicativo di fondamentale importanza, che è necessario acquisire ai fini professionali)?

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È possibile pensare che la scrittura sia un punto di arrivo, piuttosto che un punto di partenza? Pensare che, quindi, si possa ricorrere a strumenti di riflessione e rielaborazione dell'esperienza, per trarne gli apprendimenti relativi, alternativi alla scrittura ma volti al suo raggiungimento (ad esempio: documentare l'esperienza con un video, procedere con la narrazione orale di quanto mostra il video, accompagnare in un processo di trasposizione dalla narrazione orale alla narrazione scritta)?

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Altra questione di fondamentale importanza da un punto vista pedagogico, rispetto al grado di flessibilità del modello sul quale ci si è confrontati, è quella relativa ai tempi di realizzazione di un processo di valutazione delle competenze. I tempi di un approfondito percorso di ricerca e documentazione delle competenze acquisite non sono infatti i tempi delle istituzioni all’interno delle quali si propone l’adozione di questo modello, ad esempio la scuola (cfr. ultimo capitolo). Nel primo caso si parla di tempi lunghi, nel secondo di tempi che devono tener conto anche del contesto, di criteri di ordine organizzativo-gestionale.

 

Conclusioni che non concludono

Attraverso l’analisi del modello si giunge a una sorta di paradosso: perché strutturare un processo di accompagnamento alla valutazione delle competenze, quando il fine ultimo dello stesso è promuovere l'autonomia del soggetto nella gestione di tale valutazione? La questione è centrale perché oltre a rimandare in modo circolare alle domande iniziali e a richiamare molte delle questioni poste più sopra, mette in discussione gli obiettivi che orientano la proposta di questo modello all’interno dei potenziali contesti educativi in cui  è possibile applicarlo. Quanto si intende lavorare per la validazione delle competenze, quindi per la realizzazione di una documentazione relativa, e quanto invece si intende lavorare per l’acquisizione di una competenza specifica in merito alla valutazione delle competenze da parte del soggetto, come postura che è necessario mantenere nei confronti dell’esperienza vissuta per trarne gli apprendimenti impliciti? È possibile pensare che l'accompagnamento sia una fase iniziale del processo, propedeutica all'acquisizione di una competenza di autovalutazione da parte del soggetto?

 

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Appendice

Qual è il guadagno formativo che questo metodo può portare ad un futuro professionista di secondo livello? Il pedagogista, il coordinatore, il formatore, sono figure che, ciascuna a suo modo, innanzitutto valorizzano il lavoro che arriva “dal campo”, in questo caso lavorativo, e ciò che emerge dalle esperienze; può quindi essere molto interessante ed utile un modello che in più fasi permetta una rilettura e una rielaborazione dell’esperienza e del proprio ruolo. In ambito formativo, questo è un passaggio fondamentale affinché l’esperienza generi apprendimento.

Uno degli aspetti del professionista di secondo livello è quello di mettersi in gioco in prima persona e in questo senso è importante che questo metodo sia sperimentato, come è successo ai conduttori del workshop e, almeno in parte, alle partecipanti, in primo luogo dai formatori. Ove possibile, infetti, sperimentare ciò che viene chiesto di fare a qualcun altro sviluppa una sensibilità difficile da creare in altro modo, una sensibilità che permette di avvicinarsi all’Altro perché “so che cosa ti sto chiedendo di fare, so quanto possa essere difficile, so che cosa potrebbe comportare per te”. E anche quando non è possibile provare in prima persona, è sempre possibile avere un certo tipo di attenzione nei confronti di questo tema: ciò che l’Altro vede e sente è inarrivabile, posso cercare di avvicinarmi un pochino, magari sempre di più, ma non potrò mai comprendere fino in fondo i suoi limiti, le sue potenzialità, le sue fatiche. Avere questa attenzione significa aiutarsi, come professionisti, a ricordare e a mantenere realmente la persona al centro, con il suo margine di potere.

 

a cura di

Chiara Ferré

Stefano Mariotti

Paolo Zuffinetti

Formatori

Fondazione EnAIP - Lombardia

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hanno contribuito

Annaletizia La Fortuna

Silvia Martinelli

Monica Micelli

Giulia Morando

Alice Riva

Giulia Viviani

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