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IL PROGETTO EDUCATIVO INDIVIDUALIZZATO 
COME STRUMENTO DI LAVORO CON MINORI E FAMIGLIE 
IN CONTESTO DI TUTELA MINORI

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Workshop condotto da: Marcella Lisi e Valeria Puglisi
Centro Diurno minori e famiglie “Signori Bambini”, Cooperativa Sociale Comondo

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Autrici del testo: Anna Artiano, Chiara Rigo, Debora Marina Bologni, Elisa Oglina, Giulia Taddeo,  Martina Puccini, Martina Ziglioli, Paola Maria Dall’Albani, Roberta Ceretti, Vanessa Lani, Veronica  Battajni 


INTRODUZIONE


DESCRIZIONE DEL SERVIZIO “Signori Bambini”

Il centro diurno minori e famiglie “Signori Bambini” è un servizio gestito da Comondo, Cooperativa Sociale Onlus, con il contributo di Fondazione delle Comunità di Monza e Brianza e del Comune di Limbiate. E' rivolto ai Servizi Sociali e Tutela Minori dei Comuni del distretto di Desio, Garbagnate Milanese e dei territori limitrofi.
E’ un servizio educativo che sperimenta l'applicazione dell’approccio multifamiliare in chiave psicopedagogica e si struttura come servizio integrativo a quelle famiglie che, pur manifestando difficoltà nel favorire un adeguato sviluppo psico-affettivo dei loro figli, è possibile coinvolgere nel processo di crescita e cambiamento dei bambini, potenziando le risorse di ciascun membro del sistema familiare.
È rivolto a famiglie con figli frequentanti le scuole primarie o secondarie di primo grado (5-14 anni) su indicazione dei servizi sociali di riferimento. Può quindi essere rivolto a minori: appartenenti a famiglie fragili e/o multiproblematiche che necessitano di un ambiente strutturato alternativo alla famiglia, per alcune ore al giorno, con necessità di interventi sul piano educativo e relazionale; minori inseriti in comunità residenziali o in affido familiare a tempo pieno, per i quali esistono le condizioni per un rientro graduale nell’ambiente familiare e nel territorio di appartenenza; famiglie che hanno problemi diversi ma generalmente riconducibili a difficoltà di rapporto tra genitori e figli, cambiamenti nella situazione familiare, disagio economico e problemi abitativi, conflitti fra i genitori, traumi dovuti a perdite o ad abbandoni, problemi psichiatrici, abuso di sostanze, violenze, maltrattamenti o abusi.
Per i minori inseriti il servizio è aperto tutti i giorni, dall’uscita da scuola fino all’orario di cena, dal lunedì al venerdì dalle 13.30 alle 19.00. L’équipe multidisciplinare, composta da due educatori, una coordinatrice pedagogica, una psicologa e un supervisore, ha deciso di organizzare: attività ludico-espressive e supporto didattico, intervallate dal momento merenda; il servizio trasporto e vitto, da concordare con il servizio inviante; un pomeriggio ogni 15 giorni dedicato ad attività che coinvolgeranno gli adulti in prima persona, siano esse pensate esclusivamente per i genitori o rivolte all’intero nucleo familiare; percorsi di sostegno psicologico mirati per adulti e minori, da concordare con il servizio inviante.

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DESCRIZIONE DELLO STRUMENTO INDIVIDUALIZZATO PEI, USATO DALL’EQUIPE
Lo strumento presentato da Marcella Lisi e Valeria Puglisi durante il Workshop è il Progetto Educativo Individualizzato messo a punto dall’équipe educativa in seguito a diverse revisioni. Le relatrici hanno raccontato come questo modello sia in uso solo dal 2015, all’interno del Centro Diurno, e che hanno provato molti altri modelli prima di arrivare a progettare questo.
Questa tipologia di PEI viene stilata dopo tre mesi dall’inserimento della famiglia e del minore, e ha una durata annuale. Questa formula è funzionale per avere un tempo adeguato di osservazione del minore inserito e della sua famiglia, al fine di compilare il Progetto.
Lo strumento si apre con la raccolta dei dati anagrafici relativi al minore e alla sua famiglia (nome, cognome, data e luogo di nascita, nazionalità), il motivo iniziale della richiesta di inserimento, e una tabella in cui segnare la data delle revisioni e chi le ha stilate. Fondamentale è la data di stesura del Progetto.
Seguono poi degli item divisi per aree (area autonomia di base e cura della persona, area aspetti emotivi, area relazione col gruppo di pari, area relazione con educatore, area relazione minore-famiglia, area percorso scolastico, area famiglia); ogni item viene valutato con un numero da 1 a 5, dove 1 è grave e 5 è ottimo. La dott.ssa Lisi, coordinatrice del Centro Diurno, ha riportato che, per il loro lavoro, è stato fondamentale stendere in équipe gli item, poiché è un servizio particolare quello offerto e richiede delle accortezze che i PEI standard non soddisfacevano. La valutazione viene costruita dall’educatore di riferimento e si procede poi con la discussione in équipe per constatare se l’osservazione risulti corretta o meno (perché hai scritto quel numero? Che atteggiamenti hai osservato?); le relatrici del Workshop raccontavano come la valutazione degli item sia un processo molto lungo, in quanto i parametri valutativi sono frutto di un’analisi qualitativa legata alle diverse interpretazioni degli operatori coinvolti nella stesura del PEI.
Successivamente vengono pensati degli obiettivi, i quali possono essere di due ordini: da un lato vengono riportati gli obiettivi generali, i quali sono condivisi con l’assistente sociale e la famiglia; dall’altro lato si articolano gli obiettivi in aree: l’équipe educativa, solitamente, stende due o tre obiettivi per area, in base ai punteggi minori ricavati dalle osservazioni e mette a punto strumenti e/o azioni ritenuti adeguati per raggiungerli.
Il Progetto Educativo Individualizzato si chiude dandosi i tempi per la nuova verifica, ovvero per osservare nuovamente il minore e la famiglia al fine di ridefinire la numerazione degli item e valutare se gli obiettivi, o alcuni di essi, siano stati raggiunti.

DESCRIZIONE DELL’ESERCITAZIONE PROPOSTA DALLE CONDUTTRICI

L’esercitazione si è svolta sotto forma di role-playing.  Un piccolo gruppo ha interpretato una riunione di équipe di un servizio di ADM, in cui si sarebbe discusso il caso, ipotetico, del minore Filippo (nome di fantasia) tramite la lettura e la conseguente riflessione di alcune aree del PEI compilato dall’educatrice di riferimento dei minore.
I partecipanti che hanno interpretato l’équipe educativa erano cinque. 
Il gruppo di partecipanti ha immaginato i ruoli e le caratteristiche dei cinque professionisti e il caso preso in esame.
•    Francesca, la coordinatrice, ha 38 anni, è una pedagogista, coordina il servizio di ADM da cinque anni, precedentemente lavorava come educatrice in un’altra Cooperativa.  È comprensiva, disponibile e puntuale.
•    Michele, supervisore, ha 48 anni, è un pedagogista. Il suo compito all’interno della riunione di équipe è quello di osservare le dinamiche di gruppo e mediare fra i professionisti in caso di attrito. È creativo, dinamico, rilassato in quella determinata situazione. 
•    Anna, educatrice, ha 25 anni, ha conseguito la laurea triennale in Scienze dell’Educazione. È stata assunta da poco, è timida, insicura, apprensiva e molto empatica.  È la figura educativa di riferimento che si occupa in prima persona del caso di Filippo. 
•    Andrea, educatore professionale laureato, ha 27 anni. Lavora in ambioa educativo da quattro anni, è stato inserito in questa équipe da due. È brillante e presuntuoso, riesce a rapportarsi in modo ottimale con i genitori dei minori. 
•    Sara, educatrice, ha 47 anni, non è laureata. Lavora in ambito educativo da vent’anni, in questo servizio da sei. È tranquilla e stanca; compie molte azioni educative in modo meccanico, sembra seguire una serie di automatismi. 
Il caso di ADM immaginato riguarda appunto Filippo, ragazzino di 13 anni, che frequenta la terza media ed è ripetente.  Ha una diagnosi di iperattività,  ha un atteggiamento provocatorio nei confronti del mondo adulto, aggressivo ma molto sensibile. È diffidente nei confronti di Anna. La famiglia convivente è composta da entrambi i genitori, il papà è più presente della mamma che lavora molto. 
All’interno dell’équipe rappresentata è stato quindi preso in esame il PEI stilato da Anna.
 In particolar modo i professionisti, su sollecitazione di Anna che riporta le problematiche riscontrate negli ultimi incontri con il minore, decidono di concentrarsi sulle seguenti aree del documento: 
    Relazione con l’educatore;
    Autonomie di base e cura della persona; 
    Area famiglia. 

Anna ha il suo PEI compilato, la coordinatrice guida tutti i professionisti ad una riflessione condivisa sui giudizi riportati all’interno del documento e gli episodi raccontati dall’educatrice.
Durante la simulazione alla classe è stato spiegato, da parte della conduttrice del workshop, che questa simulazione riflette in modo speculare le riunioni di équipe che vengono svolte all’interno del loro servizio.
Il ruolo del PEI è fondamentale in quanto è un’ottima linea guida sia per le osservazioni sul campo degli operatori sia per ridefinire gli obiettivi dell’intervento educativo.
In questo caso particolare, la classe ha potuto osservare come un PEI così particolarmente strutturato sia un’ottima linea guida per posizionare lo sguardo e per confrontarsi con gli altri professionisti. 
Sulla base degli item assegnati dall’educatrice, infatti, possono essere formulati obiettivi precisi al fine di strutturare un percorso educativo efficace. 

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RIFERIMENTI TEORICI

1.    DINAMICHE DI GRUPPO

Quello su cui si vuole focalizzare l’attenzione, a seguito della simulazione, riguarda il tema delle dinamiche di gruppo, elemento osservabile e visibile da un osservatore esterno.
In un’équipe di lavoro, ogni operatore porta il suo contributo, la sua esperienza, la sua visione.  Ogni operatore ha una sua storia, una propria formazione, un proprio modello professionale spesso in antagonismo con gli altri.
“Non è sufficiente, infatti, essere un’équipe formale, ovvero un insieme di operatori che lavorano all’interno della medesima cornice organizzativa, per dire di essere in presenza di un gruppo di lavoro. Lo spazio del pensiero di gruppo è qualcosa di qualitativamente diverso dal pensare individuale dentro a una cornice collettiva. Il gruppo, per parafrasare Bion, non può coincidere con la pura sommatoria dei contributi individuali” .
Nell’affrontare l’ordine del giorno della riunione di équipe (discussione sui singoli casi, stesura dei PEI, decisioni varie…), ognuno esprime e produce il proprio sapere, le proprie visioni, il proprio sguardo sull’utenza, mostrando al tempo stesso una profonda fatica ad ascoltare gli altri colleghi.  Quello che spesso è facilmente riscontrabile è che i pensieri dei diversi membri della riunione si susseguono impedendo un ascolto profondo. Un simile atteggiamento genera malessere che può sfociare in un’alta conflittualità.
Alcuni studi sostengono che il conflitto all’interno di un gruppo sia fisiologico; nel caso di un gruppo di lavoro la fase di conflitto è:
 “un fronteggiamento fra singolarità diverse il cui scopo non è la prevalenza sulle altre, ma la ricerca di una forma comune […]” , un accordo per poter intervenire nel miglior modo possibile.
“Il conflitto è un movimento a due fasi circolari, in sostanza parimenti: confronto e negoziazione”. Ci si confronta, a volte anche animatamente, perché ognuno esprime il proprio parere, ma ciò che si rivela di estrema importanza è giungere ad una negoziazione, ad una risoluzione del problema al fine di intervenire nel migliore dei modi con l’utenza, pervenendo al tempo stesso a ciò che le parti, i diversi membri dell’équipe si sono prefissati di raggiungere mediante un comune accordo. Per poter giungere a questo è ineluttabile che tra i membri vi sia rispetto:
“Il rispetto è un elemento essenziale in quanto implica considerare degno di ascolto e parimenti importante ogni punto di vista. Questo comporta una condizione paritaria, non gerarchica dell’ascolto (<<il mio punto di vista è migliore del tuo>>”) . La qualità dell’ascolto può essere condizionata dalla sospensione del giudizio, promotrice di un atteggiamento accogliente. Tutto quello che il gruppo e i suoi membri si dicono e fanno in modo esplicito (come quello che sin qui abbiamo riportato), riguarda un livello immediatamente visibile ed osservabile in quanto più superficiale. In tale livello, secondo alcuni studi psicologici vi fanno parte il contenuto, il metodo, ovvero “il modo con cui il gruppo organizza l’espressione del contenuto”, ed i processi (gli avvenimenti immediatamente osservabili come il modo in cui avviene la comunicazione, chi parla a chi quante volte, come si comportano i membri…).
Vi è un livello meno evidente del precedente, ma comunque visibile, quello delle dinamiche di gruppo, con tale termine ci si riferisce “a movimenti emozionali sottostanti alla vita di un gruppo” . Contenuto, metodo, processo e dinamiche sono indissolubilmente intrecciati tra loro. I primi tre sono visibili e facilmente osservabili, mentre le dinamiche non si vedono, “ma se ne osservano gli effetti in ordine alla qualità dei contenuti, dei metodi e dei processi in atto nel gruppo”. 

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2.    IL RUOLO DELLA FAMIGLIA

All'interno del centro diurno minori e famiglie "Signori Bambini" di Limbiate, l'approccio al quale ci si ispira è l'Approccio Multifamiliare, ideato a Londra a metà degli anni '70. Nei percorsi proposti dal Centro è molto forte il coinvolgimento delle famiglie, infatti la loro partecipazione e i loro feedback sono di fondamentale importanza. L'Approccio Multifamiliare è basato sul lavoro con famiglie multiproblematiche e si attua in specifici setting diurni che prevedono la partecipazione di più famiglie e la condivisione di attività e momenti di riflessione, sia solo tra adulti sia anche in presenza dei bambini o ragazzi. E’ questa la vera forza del gruppo: porsi in una dimensione attiva e non passiva, superando la percezione di essere isolati e stigmatizzati in quando nucleo familiare che ha determinate difficoltà, riconoscendo al contempo come vi siano fatiche condivise, che possono essere affrontate e che il cambiamento è davvero possibile. Quindi «il gruppo di discussione rappresenta un'area transizionale impregnata dell'odore delle proprie storie familiari, ma anche un oggetto per procedere verso il futuro» . Non vi è dunque una sostituzione alla funzione genitoriale, o un tentativo esterno di "insegnare" cosa si deve o non si deve fare, bensì un supporto ad un percorso e a situazioni certamente non facili ma nelle quali si intravedono possibilità di recupero. 
Per quanto possa sembrare scontato un coinvolgimento delle famiglie nel momento in cui si rileva una difficoltà che chiama in causa il figlio (o più di uno), in realtà anche dal punto di vista educativo molto spesso l'intervento che viene messo in atto è rivolto solo al minore in questione, come se la problematica appartenesse a lui soltanto e non vi fossero altri elementi da prendere in considerazione. Facendo un breve accenno anche alle teorie del modello sistemico, ci si può però rendere conto che ogni essere umano non è isolato ma fa parte di un una serie di sistemi più o meno ampi, nei quali rientra anche quello familiare; all'interno del sistema vi sono diverse parti che sono in relazione fra loro e che tendono all'equilibrio, influenzandosi vicendevolmente a tal punto che qualsiasi cambiamento di una di queste influenzerà la totalità del sistema stesso. Riportando queste considerazioni dal punto di vista delle linee di intervento del Centro preso in considerazione, si può ben comprendere quale sia l'importanza e la centralità della presa in carico di tutto il "sistema-famiglia" e non solamente del minore in difficoltà. Poter lavorare con il nucleo familiare (pur essendo ogni nucleo portatore di una storia del tutto personale e unica) consente di avere una visione più ampia e più approfondita possibile di ciò che è accaduto e che sta accadendo, coinvolgendo attivamente ogni membro con modalità e tempi ovviamente calibrati a seconda delle varie situazioni. Tutto ciò consente di operare ad un livello globale evitando da un lato il rischio di considerare solo la punta di un iceberg molto più profondo e complesso, e dall'altro di escludere parti del sistema che invece sono costitutive di esso. 

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3.    IL RUOLO DELLA RETE

Il lavoro di rete può essere considerato centrale nell’esperienza descritta nel Workshop. Un lavoro di rete caratterizzate da legami deboli , ma che fanno di questo servizio il loro punto di forza.
Se infatti gli attori sono molti, il mandato del servizio è fin da subito chiaro e condiviso.
L’Approccio Multifamiliare, infatti, prevede il coinvolgimento delle famiglie come parte attiva del “gruppo di lavoro”, mettendo al centro la trasparenza con famiglie e servizi.
Fin dal primo incontro, definito network, gli obiettivi vengono definiti con i familiari e con l’assistente sociale. Il fatto stesso di scriverli su un cartellone/lavagna permette a tutti i componenti del gruppo di ‘vedere’ quali scopi ha il lavoro che verrà svolto e di intervenire, rimarcando il fatto che l’obiettivo deve descrivere il punto di arrivo concreto e misurabile al quale il gruppo tende e per il quale si impegna a lavorare .
Ecco allora che viene a crearsi non una rete per la famiglia, ma una rete con la famiglia che firma la propria adesione al servizio e può stendere le proprie osservazioni all’interno di un apposito spazio nelle relazioni.
Inoltre, durante il lavoro vengono a crearsi delle connessioni molto forti tra le famiglie che appartengono allo stesso gruppo: i feedback possono provenire da chiunque e capita che un genitore “vicariante” trascorra del tempo e svolga attività con il figlio di un altro partecipante.
Una persona che frequenta il servizio può diventare una risorsa e un appoggio per altre famiglie in difficoltà, portando il proprio contributo su una situazione specifica e magari aiutando anche a trovare delle soluzioni. La presenza di altre famiglie con simili problemi e dilemmi significa che le famiglie si aiutano a sperimentare e a trovare nuove soluzioni, condividendo idee e consigli, e offrendo feedback all’interno del gruppo dei pari. Essere solo una delle tante famiglie, in situazioni molto simili, è generalmente un’occasione unica per le famiglie che partecipano al setting familiare diurno, e questo aspetto tende a ridurre sentimenti di emarginazione sociale e di stigmatizzazione. Questo permette alle famiglie di essere meno difese e più aperte ad esplorare le possibilità di cambiamento. Si spostano da una posizione passiva d una più attiva, in quanto possono aiutare altre famiglie, e certi temi di rischio possono essere affrontati al sicuro nel setting di gruppo. 
Questo aspetto può essere considerato un lavoro di rete? La rete deve essere composta solamente da professionisti e dalla famiglia coinvolta o possono intervenire anche altri agenti esterni? I progetti nel “sociale” sempre più necessitano di essere concepiti come progetti ‘di e tra’ diverse organizzazioni’. 
Pur non mettendo in discussione la leadership , la solidità dell’équipe o il concetto di professionalità che può e deve essere esercitata da persone adatte a ricoprire certi ruoli e mansioni, i confini di queste reti possono essere considerati fluidi, guidati da una regia molto forte dentro un contenitore (spazio, carta dei servizi, organizzazione) chiaro e ben definito.
Un modo innovativo, forse, per costruire ‘soluzioni sociali’ adeguate a situazioni specifiche.

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4.    L’IMPORTANZA DELLA DOCUMENTAZIONE 

“I documenti sono atti sociali, sono frutto di intenzioni che rimandano a memorie e fatti siglandone l’intrinseca storicità” (Maurizio Ferraris).
Marcella Lisi e Valeria Puglisi hanno evidenziato più volte, durante il Workshop, l’importanza della documentazione (tabelle orarie, moduli di lavoro, progettazioni…) che è fondamentale per tenere traccia di tutte le evoluzioni dei minori (dal loro ingresso alla loro uscita dal servizio), ma soprattutto per la condivisione che avviene con i genitori rispetto al percorso che l’intero nucleo famigliare sta facendo all’interno del Centro. 

I documenti sono necessari al servizio per il suo funzionamento: 
•    amministrativo (registri, schede, protocolli…);
•    organizzativo (turnari…);
•    pedagogico (progetti, relazioni…);
•    sociale sul territorio (materiale promozionale, carta dei servizi…);
•    come ambiente di esperienza e di vita.

La documentazione è un’azione mentale che analizza ed interpreta il contenuto concettuale del documento, al fine di costituire dei descrittori utili alla catalogazione e indicizzazione di quest’ultimo. 
Una delle principali funzioni della documentazione è quella di essere spazio e strumento di memoria. La documentazione, infatti, ha lo scopo di preservare ciò che si ritiene importante, ciò che vale la pena ricordare per la sopravvivenza della comunità sociale che l’ha istituita. Ogni documento che appartiene al servizio è segno dell’esistenza e testimonianza della cultura pedagogica del suo operato. La documentazione deve essere un percorso costruito in modo tale da lasciare traccia non solo del suo contenuto ma anche di sé stessa, del processo che l’ha composta. 
Entrando nello specifico…
•    Chi documenta? La documentazione del lavoro educativo è frutto di una costruzione collettiva. È costruita dal servizio, dagli educatori, dagli utenti e talvolta anche dalle loro famiglie;
•    Cosa si documenta? Trovano spazio le esperienze educative in tutte le loro fasi, dalla riflessione alla progettazione, alla narrazione e comunicazione. La documentazione lavora alla ricerca della significatività di quanto si va facendo/osservando/vivendo;
•    Quando si documenta? La documentazione deve essere pensata come processo e progetto. Necessita di diversi documenti ed artefatti;
•    Quali sono i luoghi della documentazione? Sono molti. Rappresentano gli spazi del servizio;
•    Quali sono i linguaggi della documentazione? La parola scritta è uno dei linguaggi privilegiati della documentazione, ma non è l’unico. Si trovano, infatti, prodotti cartacei, virtuali o manufatti di varia natura.

“Documentare vuol dire farsi capire” (P. Sacchetto, 1998).
Quello che viene documentato rappresenta una scelta tra molte altre. Una scelta alla quale partecipano gli educatori stessi. Allo stesso modo, quello che non si sceglie di documentare, è anch’esso una scelta. 
Le descrizioni che produciamo, le categorie che applichiamo, le interpretazioni che attribuiamo al fine di dare un senso a quanto sta accadendo, sono impregnate di convenzioni, classificazioni e categorizzazioni tacite. La documentazione è fondamentale per la sopravvivenza del servizio. 


5.    LA PROGETTAZIONE

La progettazione rappresenta uno strumento privilegiato in un contesto come quello del centro diurno minori e famiglie “Signori Bambini”, dove vengono pianificati percorsi di crescita, sviluppo, evoluzione, apprendimento, cambiamento e di promozione del minore a livello personale, familiare e sociale.
La progettazione assume la funzione di propulsore; lo scopo espresso nel progetto serve a sviluppare identificazioni e a dare spinte motivazionali per sostenere il minore e la sua famiglia, potenziando le risorse di ciascun membro del sistema familiare. Lo scopo è quello di proporre interventi educativi personalizzati al fine di sostenere il minore, promuovendo la sua immagine di sé, le sue autonomie e capacità espressive, stimolando le sue competenze sociali e favorendone l’inserimento nella realtà di appartenenza. Oltre a compiere interventi educativi personalizzati viene fornito un servizio di supporto alla genitorialità – colloqui individuali e frequenza al gruppo multifamigliare. A prescindere dal tipo di progettazione il percorso di qualsiasi progetto dovrebbe attraversare cinque tappe:
-    la prima tappa corrisponde all’ideazione, ovvero il momento in cui viene ipotizzato un progetto.
-    la seconda tappa è l’attivazione; una volta avviata l’ipotesi di progetto bisogna cercare di verificare quali sono le risorse, identificare il proprio ruolo e quello degli altri soggetti coinvolti e individuare le strategie di intervento.
-    la terza tappa è l’elaborazione del progetto cartaceo. Per la realizzazione dell’intervento è necessario definire in équipe quali sono le azioni prioritarie rispetto agli obiettivi molteplici che si danno.
-    la quarta tappa corrisponde alla realizzazione dell’intervento.
-    la quinta tappa è quella della verifica conclusiva e della riformulazione, ridefinizione e conclusione del progetto.
Nella progettazione è necessario acquisire o possedere sia una conoscenza generale del problema, sia una conoscenza di come esso si manifesta per poter realizzare al meglio il progetto. Un altro aspetto importante è l’identificazione degli obiettivi, ovvero bisognerà identificare i diversi obiettivi che possono riguardare le caratteristiche del singolo individuo come ad esempio le conoscenze, competenze e gli atteggiamenti o possono anche riguardare i rapporti tra due o più persone come la quantità e qualità dei rapporti familiari.
Già dal momento in cui si fissano gli obiettivi si sono identificati i beneficiari dell’intervento. E’ molto cruciale sapere a chi si riferisce il progetto per poter conoscere le principali caratteristiche sociali, i valori, le credenze e le abitudini che li contraddistinguono. Queste conoscenze saranno utili sia per stabilire le modalità di contatto più opportune, sia per capire se le attività che saranno proposte saranno realizzabili. Stabiliti gli obiettivi bisogna decidere cosa dovrà essere fatto per ottenere i cambiamenti. Nella fase di progettazione è conveniente stabilire se e con quali modalità verranno intrapresi percorsi valutativi. E’ importante prendere queste decisioni per capire se gli obiettivi saranno raggiunti.

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6.    COME SCRIVERE UNA RELAZIONE

Nel contesto di tutela minori, nello specifico il centro diurno minori e famiglie “Signori Bambini”, la relazione assume una funzione importante.
La relazione è un testo che deve tracciare il bilancio di un’esperienza o il resoconto di una ricerca in modo analitico, completo e oggettivo.
Nella relazione prevale la componente espositivo/informativa, ma è presente anche una componente persuasiva, qualora la relazione si proponga di influenzare una decisione. In questo tipo di testo vanno comunque escluse opinioni personali o tratti troppo soggettivi.
Lo scopo principale è informare.
Per produrre una relazione efficace è necessario:
1. procurarsi un’accurata documentazione;
2. cercare di ottenere la massima chiarezza espositiva all’interno del testo;
3. pianificare una chiara distribuzione delle informazioni, tale da rendere evidente a chi legge il percorso compiuto da chi scrive;
4. curare con attenzione la revisione del testo (editing).
Il lavoro di documentazione è una fase importante nella progettazione della relazione, in cui vengono passate in rassegna le possibili modalità di reperimento delle informazioni. Una volta individuate le fonti, si selezionano le informazioni pertinenti all’argomento affrontato e alle finalità che il lavoro di ricerca si propone.
Nella relazione è utile illustrare come sono stati reperiti i dati e quali teorie sono state utilizzate. 
La parte introduttiva è utile per la presentazione dell’esperienza, delle motivazioni e scopi, dei luoghi e dei tempi in cui si è svolta. Le fasi preparatorie riguardano l’anamnesi personale e famigliare.
Successivamente possono essere illustrate le fasi preoperatorie, gli eventuali studi e eventuali ricerche che sono state eseguite.
Procedendo vi è la fase di realizzazione, in cui vengono descritte le diverse fasi dell’attività e i materiali che sono stati raccolti.
Infine è caldamente richiesto ultimare la relazione aggiungendo delle conclusioni che devono fornire indicazioni sui possibili sviluppi, progressi e migliorie che la relazione/progetto può apportare.
È un’utile fase in cui si fanno osservazioni generali, si valuta l’esperienza ed eventualmente si forniscono informazioni sul suo sviluppo. In fase conclusiva le relazioni del CDM vengono integrate dai soggetti coinvolti nell’intervento che, nel caso specifico di questo servizio, sono i genitori o i tutori del minore.

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7.    L'OSSERVAZIONE COME STRUMENTO DI RICERCA E IL SUO UTILIZZO

All’interno del servizio qui presentatoci, sembra essere stata individuata una possibile implicazione dello strumento dell’osservazione: tale strumento permette una ricerca attiva precedente la compilazione di un P.E.I, per poter garantire una restituzione più chiara e completa dei genitori, dei minori, dei gruppi.
L'osservazione è una forma di rilevazione finalizzata all'esplorazione di un determinato fenomeno. Ciò che si vuole ottenere è la conoscenza delle sue caratteristiche e le condizioni in cui si verifica. Essa è oltretutto un processo selettivo per cui l'attenzione di chi osserva verrà catturata dagli interessi del momento – strutturata secondo un oggetto, modalità e tempi di durata. Noi tutti osserviamo un determinato evento o comportamento, tale per cui operiamo uno specifico comportamento di studio distinguendo tale atto dal semplice guardare poiché è uno sguardo intenzionale – così come la descrizione va intesa come la restituzione di ciò che è accaduto per come si è presentato ai nostri occhi, e l'interpretazione come ciò che penso sia accaduto. Naturalmente va distinta l'osservazione diretta o meglio dal vivo condotta in tempo reale dall'osservazione operata tramite strumenti di registrazione automatica come la telecamera, ognuno dei quali con i rispettivi vantaggi e svantaggi. Infatti, contrapposto al naturale abbiamo l'osservazione strutturata condotta utilizzando il cosiddetto protocollo osservativo e rapporto osservativo – creati tramite gli strumenti di registrazione automatica come il video. Quest'ultimo è una ripresa di una situazione senza montaggio, differente dal filmato frutto della selezione di alcune scene; esiste anche l'ibrido risultato di entrambi, consistente in un montaggio creato per restituire in maniera narrativa tutto l'andamento di un evento. Non esiste una metodologia osservativa valida in assoluto, ma esistono obiettivi di ricerca diversi cui corrispondono metodi più o meno appropriati. Si sottolinea la necessità di liberarsi dei costrutti – delle nostre ipotesi precostituite; di fatto è consigliato di esplicitare ciò che precede l'inizio di una ricerca.
Si avanza ora il problema della soggettività dell'osservatore ossia il suo modo di porsi di fronte al problema, che determina la scelta del metodo e della tecnica osservativa da adottare. Se prendessimo in considerazione la psicoanalisi le impressioni soggettive verrebbero valorizzate, sfruttando le loro potenzialità informative. Mentre secondo la logica sperimentale classica è importante evitare che le emozioni prendano la guida della ricerca come eventuali rischi di distorsioni; dove concorrono diversi fattori come le condizioni psicofisiche dell'osservatore e le sue aspettative. È importante non dimenticare che altri fattori influenzano l'attività osservativa come la presenza di chi osserva – partecipante o meno che può indurre i soggetti esaminati ad alterare i propri comportamenti; e la posizione della telecamera che può essere percepita come elemento intrusivo e comportare delimitazioni come la perdita di informazioni contestuali. L’azione “inibitoria” della telecamera dipende dal periodo di esposizione del soggetto: più tempo si è esposti, minori saranno i meccanismi difensivi messi in atto.  Quindi, per cercare di controllare la soggettività lavorando sulle proprie emozioni, e arrivare a fini ultimi un metodo è l'interosservazione. Ed è tramite la procedura interosservativa che si mette a disposizione un'osservazione passibile di diverse discussioni; infatti, tramite molteplici punti di vista, è possibile avere altre visioni del contesto studiato diversa dalla prima. È possibile cogliere particolari prima passati inosservati ma senza eccedere nell'attenzione. Prendiamo l'équipe come spazio interessante su cui riflettere. 
Alla metodologia osservativa diversi sono stati gli approcci che hanno dato importanti contributi come la psicoanalisi e Jean Piaget, non dimenticando l'etologia con l'osservazione degli animali nel loro reale contesto. Lo strumento dell'osservazione è utile alla Cooperativa Sociale Comondo in quanto è utilizzata nella compilazione del P.E.I e non solo (l'osservazione viene attuata anche durante la conduzione dei gruppi adulti e minori). Infatti, il documento in questione viene compilato tramite una numerazione e data l'osservazione condotta dall'operatore questi sceglie un numero e solo successivamente se ne discuterà in équipe.

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BIBLIOGRAFIA

Appunti delle lezioni universitarie della Dott.ssa Elisabetta Biffi. 
Berto, F., Scalari, P., (2008) Contatto. La consulenza educativa ai genitori, Bari, Edizioni la Meridiana.
Biffi E. (2014), Le scritture professionali del lavoro educativo, Milano, Franco Angeli.
Contessa, G., (1999) Psicologia di gruppo. Modelli e itinerari per la formazione, Editrice La Scuola.
Dallanegra, P., Fava, P., E., (2012) Alleanza di lavoro tra operatori e utenti. Dalla valutazione di processo a un metodo di trattamento, Milano, Franco Angeli.
Leone L., e Prezza, M., (1999) Costruire e valutare i progetti nel sociale, Milano, Franco Angeli.
Mantovani, S., (1998) La ricerca sul campo in educazione. I metodi qualitativi, Milano, Mondadori.
Quaglino, G. P., Casagrande, S., (1992) Gruppo di lavoro, lavoro di gruppo, Cortina Editore.
Ulivieri-Stiozzi S., (2016) Il counselling formativo. Individui, gruppi e servizi educativi, tra pedagogia e psicanalisi, Franco Angeli.

 

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