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Prendersi cura degli educatori di comunità

un compito fondamentale delle comunità per minori che tengono al benessere dei propri collaboratori 

Durante l’incontro di Workshop del 7 aprile 2016, tenutosi presso la comunità per minori Caf Onlus e intitolato “Il ruolo dell'educatore in comunità, tra cura della quotidianità e cura del trauma, tenendo conto del benessere del bambino e dell'adulto”, si è proposta alle studentesse una ampia riflessione sul concetto di prendersi cura in comunità. Partendo dunque dalla distinzione e integrazione dei concetti di Curing (prospettiva sanitaria) e Caring (prospettiva educativa), si sono analizzati i vari aspetti della cura in comunità che gli educatori sono chiamati ad avere sempre presenti: prendersi cura dei minori allontanati dalle famiglie nella loro quotidianità, prendersi cura dei loro traumi, curare gli spazi, l’ambiente e i tempi della vita in comunità, prendersi cura delle relazioni educative ed infine prendersi cura delle famiglie dei minori allontanati.

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In questa prospettiva, è emerso in modo evidente da parte delle studentesse stesse il bisogno di prendersi cura degli educatori chiamati ad un complesso compito quotidiano e delle loro emozioni.

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Su questo aspetto si concentrerà dunque il presente articolo, scritto a seguito delle riflessioni fatte durante in workshop in aula tra le studentesse e grazie al loro stesso interesse a alla ricerca da loro effettuata riguardo a tale tematica.

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Nell’esperienza del lavoro in comunità, le due dimensioni del curare e del prendersi cura sono profondamente interconnesse perché nel prendersi cura quotidiano di un bambino o di un ragazzo, inizia la cura degli esiti che le esperienze sfavorevoli vissute hanno lasciato dentro di lui.

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Ogni professione educativa, che implica una pratica educativa e azioni formative indirizzate al benessere del soggetto, è quindi una professione di cura e l’educatore, per poter curare deve potersi anche prendere cura di sé.

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Nello specifico, per gli educatori di comunità, la cura rappresenta la fase tra la presa di coscienza della difficoltà nel soggetto e la sua guarigione, il “superamento” della difficoltà: tale percorso spesso è travagliato e soggetto a ricadute, ma rappresenta anche un momento importante di accettazione di sé, di scoperta, di crescita; la cura, per avere esito positivo, richiede rispetto e pazienza. E’ necessario che si crei un rapporto autentico di fiducia tra l’educatore e il bambino, un rapporto basato sull’ascolto, sulla comprensione, sull’empatia, sulla condivisione.

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La formazione degli educatori deve essere, dunque, molto attenta: sono necessarie molte competenze: comunicative, psicologiche, pedagogiche e culturali come pure capacità di dialogo interpersonale e di comprensione verso i soggetti nel momento del disagio, nei blocchi, nei rifiuti.

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A seguito di una lunga riflessione circa le competenze, non solo professionali, ma anche emotive e di conoscenza/consapevolezza personale che l’educatore di comunità è chiamato a sviluppare, è apparso evidente all’aula che il lavoro in comunità è dunque stressante, complesso e ansiogeno. L'educatore è esposto con tutta la sua storia e con il suo presente alle relazioni con utenti e colleghi.

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La formazione rappresenta un elevatissimo tasso di cura di sé, la formazione degli educatori deve avere origine e cominciare da un'attenzione alla costruzione di pratiche riflessive che sono pratiche di cura di sé, dell'altro e del mondo.

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Come sostiene Anna Boffo, in “La cura di sé e la formazione degli educatori”, la cura è l’archetipo della pedagogia, oltre la formazione, l’educazione, l’intenzionalità, l’apprendimento, l’inculturazione. Non potrebbero esserci educazione, formazione, apprendimento, inculturazione senza una cura che accompagni e sostenga coloro che svolgono attività educative, in ogni luogo e in ogni tempo si trovino ad esercitarle.

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Nella stessa caratterizzazione della professionalità educativa, che si fonda sulla relazionalità interpersonale è implicita l’esigenza di una continua revisione dei processi e dei modelli procedurali che devono essere rispondenti alle peculiari situazioni di bisogno educativo e ai soggetti che ne sono espressione, nel loro valore singolare, originario e irripetibile.

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Proprio perché la professionalità dell’educatore si esprime in un contesto di interdipendenza, è evidente che si tratta di una professionalità che continua a costruirsi attraverso le diverse situazioni che l’educatore incontra e che lo sollecitano alla revisione critica del proprio agire.

 

Per questi motivi la riflessione pedagogica del workshop ha portato a sottolineare il delicato ruolo dell’educatore all’interno di un dispositivo educativo come quello della comunità residenziale: l'educatore è chiamato a rendersi conto e a problematizzare: – la sua posizione (dentro-fuori la relazione) – il suo modo di intervenire (comunicazione verticale, orizzontale- circolare) – le modalità di intervento con gli utenti.

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Ci si è chiesti, infatti, quali possono essere le pratiche della cura e della cura di sé che possono sostenere la formazione degli educatori?

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L'attenzione è la parte fondamentale della cura: è vigilanza di sé, per orientarsi all'altro, è concentrazione sul momento presente.

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E’ fondamentale dunque creare degli spazi per gli educatori dove poter approfondire tali implicazioni.

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Compito delle comunità, altrettanto importante, quanto la cura e l’attenzione posta ai bambini, è quindi l’organizzazione di formazioni e supervisioni che si occupino anche del benessere e della serenità degli operatori, che tengano conto della loro “igiene mentale” e che li aiutino ad essere consapevoli del coinvolgimento sempre insito nella relazione con l’utente.

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Sono pertanto necessarie situazioni strutturate di formazione permanente che consolidino l'impianto organizzativo della comunità e sostengano lo sviluppo della professionalità degli operatori perché non servono eroi, anzi sono generalmente dannosi.

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Può rivelarsi significativa una formazione permanente che tenga conto di tre obiettivi principali:

  1. sviluppare capacità personali e di gruppo nel riconoscere, elaborare e contenere situazioni fortemente ansiogene e di notevole tensione; aiutare l'educatore a rendersi conto dell'implicazione che il turbolento contesto lavorativo gli fa in termini emotivi. E' importante in tal senso che gli educatori imparino a riconoscersi, a cogliere le proprie reazioni, a utilizzarle come segnali per agire con modalità pensate ed elaborate.

  2. Collocare il lavoro di comunità all'interno di quadri teorici di riferimento; individuare e approfondire tematiche che riguardano l'utenza della comunità. La formazione risulta momento di allineamento dell'intera equipe sia nella condivisione dei contenuti teorici che nella progettazione di interventi educativi.

  3. Creazione e mantenimento della struttura organizzativa; individuare e sostenere un quadro organizzativo con ruoli e funzioni chiare; esse offrono una linea di lavoro con obiettivi, aree di riferimento, tempi che permettono a educatori e utenti di costruire insieme il contesto educativo. Una struttura organizzativa assicura protezione dall'ansia dell'emergenza, che fisiologicamente imperversa nei contesti siffatti, e pone in essere modalità chiare e condivise.

 

E’ dunque fondamentale per gli educatori conoscere profondamente se stessi per poter svolgere al meglio questo delicato compito, cogliere le proprie reazioni ed emozioni, utilizzandole come “segnali” per agire con modalità pensate ed elaborate.

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Possiamo dunque concludere con tale “formula”: occuparsi di sé, per occuparsi dell'altro.

 La ricerca della dimensione costitutiva dell'educatore che si esplicita nella capacità e nella comprensione della propria pratica, non può non avere inizio da una richiesta che emerge con una urgenza, non teoretica, ma eminentemente pratica: la richiesta urgente di cura di sé, per la cura dell'altro.

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L'atto costitutivo dell'educare ha origine da una cura che l'educatore rivolge a se stesso in primo luogo, ma non per se stesso, bensì per l'altro con il quale entra in relazione e in dialogo.

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La relazione non si dà senza cura della propria interiorità, senza la consapevolezza di poter andare a ricercare i costituenti del proprio sé, senza saper dare un orientamento di senso al sé medesimo. Prima ancora di relazionarsi con l'altro è la ricerca della relazione con il proprio sé che è importante e primaria.

 

a cura di

Paola Gobbi,

coordinatrice

della comunità 3-12 anni per 7 anni

 

​Associazione CAF onlus

via V. E Orlando 15, Milano

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hanno contribuito

Caterina Torbol
 Cristina Faccini
Federica Giroldi
Francesca Trezzi

Monica Bordiga

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