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Il lavoro educativo in tutela minori con i genitori

I gruppi multifamiliari come strumento di lavoro con le famiglie multiproblematiche

Il Centro Diurno Minori è un servizio educativo rivolto ai minori e le relative famiglie in situazioni di disagio che manifestano particolari bisogni di sostegno, di accoglienza e di relazione. È aperto da settembre 2011 a Limbiate (MB).

Accoglie i minori per i quali non è ipotizzabile, né opportuno, un inserimento in Comunità Alloggio, non esistono i presupposti o le risorse per attivare un affido diurno, non è più ritenuto sufficiente od opportuno l’intervento educativo a domicilio perché non incisivo nel prevenire l’allontanamento del minore dal nucleo familiare.

Vengono proposti interventi educativi personalizzati al fine di sostenere il minore, promuovendo la sua immagine di sé, le sue autonomie e capacità espressive, stimolando le sue competenze sociali e favorendone l’inserimento nella realtà di appartenenza.

Attività specifiche vengono inoltre proposte anche ai genitori: il servizio si struttura come servizio integrativo a quelle famiglie che, pur manifestando difficoltà nel favorire un adeguato sviluppo psico-affettivo dei loro figli, è possibile coinvolgere nel processo di crescita e cambiamento dei bambini, potenziando le risorse di ciascun membro del sistema familiare.

 

Ciò che il servizio sta sperimentando è un lavoro di rieducazione, non solo indirizzato ai minori, che spesso sono i portatori più evidenti di fragilità e/o comportamenti devianti, ma un coinvolgimento attivo delle rispettive famiglie innanzitutto nel “riappropriarsi” del ruolo educativo nei confronti dei loro figli, e nel comprendere quelle dinamiche che hanno portato o hanno permesso alla situazione di disagio di radicarsi.

Prendendo come riferimento il pensiero di Piero Bertolini (Bertolini, Caronia, 1993), egli afferma che la rieducazione non punta a far scomparire il comportamento irregolare ma si propone di eliminare i motivi che avevano condotto la persona ad assumere quel comportamento. Quel comportamento che rappresenta un indice di un particolare e disadattivo modo di percepire sé stessi, il mondo e se stesso nel mondo. Il comportamento di un individuo, la scelta del suo attuale modo di essere nel mondo e con gli altri è strettamente legata alla sua personale visione del mondo e questa è generata da un complesso processo di apprensione soggettiva dell’esperienza vissuta. Una visione del mondo infatti non è solo l’insieme di certezze e di valori con cui interpretiamo l’esperienza vissuta e attraverso cui attribuiamo un significato al presente, essa rappresenta anche la griglia che indirizza il nostro modo di pensare al futuro e di collocarci nel mondo possibile.

Ri-educare significa dunque, fondamentalmente procedere ad una profonda trasformazione della visione del mondo della persona: del suo modo in intendere se stesso, gli altri e le cose, del suo modo di mettersi in relazione con queste realtà e di procedere quindi nella scelta dei suoi atteggiamenti e dei suoi comportamenti.

Ogni educazione pedagogicamente fondata guarda sia allo sviluppo psicofisico del soggetto che allo sviluppo della sua capacità intenzionale: da questo punto di vista, la pratica rieducativa non differisce da quella educativa. L’intervento dovrebbe prevedere la creazione di esperienze nuove, esperienze pensate e costruite per condurre la persona alla consapevolezza della necessità di rivedere le proprie convinzioni e i propri valori. Altro aspetto fondamentale dell’evento educativo è centrato sulla dimensione temporale del futuro, in quanto esso è volto, essenzialmente, a favorire nella persona una progressiva e consapevole appropriazione dell’esperienza e a sollecitare la sua capacità di riflessione su di essa. Non è un caso, quindi, che l’intervento rieducativo risulti tanto più difficile quanto più la persona ha raggiunto, crescendo, una certa stabilità e strutturazione interiore. Paradossalmente la direzione della rieducazione non procede dal passato al futuro ma dal futuro al passato. Non si tratta infatti di attivare una presa di distanza della persona rispetto al suo passato, dal mettere in crisi la sua visione del mondo per procedere poi alla riorganizzazione di nuovi stili di esistenza. L’intervento rieducativo procede in direzione opposta. Si tratta di sfruttare quegli aspetti della personalità della persona che possono essere valorizzati, di fargli compiere nuove esperienze e di prospettargli nuove possibilità capaci di aprirgli orizzonti diversi e diverse, impensate, forme di esistenza.

La relazione all’interno di questo particolare centro diurno è costruita, interpretata e negoziata da una comunità di osservatori, in primo luogo gli stessi partecipanti alla relazione. La relazione crea nel tempo una comunità, crea un linguaggio condiviso attraverso una negoziazione che parte dalla molteplicità di versioni possibili di una storia, di punteggiature possibili dello “stesso” evento. La negoziazione sui contenuti e sulla relazione in corso è ciò per cui comunicano. Una negoziazione che, nelle relazioni di cura, non ha come obiettivo la costruzione della verità, il monologo, ma la cura della relazione: la sua definizione, la sua evoluzione, il suo scioglimento, in funzione dei desideri, bisogni, valori, obiettivi dei partecipanti. D’altronde, non c’è relazione senza “res” (Demetrio,1990). Le persone stanno insieme per qualcosa, non per la relazione in sé. La negoziazione sulla “res”, sul senso e la direzione della relazione in corso, su quello che la legittima nel contesto istituzionale, riveste una grande importanza. La “res” è la storia condivisa e provvisoria del “perché siamo qui”o “che cosa stiamo facendo insieme?”. È una narrazione, una direzione di senso, più che un obiettivo.

 

Il carattere sperimentale del progetto è quello dell'applicazione dell'Approccio Multifamiliare in ambito non terapeutico ma educativo e psicopedagogico. A partire dalle valutazioni, effettuate dagli operatori del Servizio Minori, di recuperabilità dei genitori, dei margini di cambiamento e delle esigenze di crescita dei bambini, il Centro Diurno può così strutturarsi come uno spazio ed un tempo che, rispondendo ai bisogni evolutivi dei minori, permette un lavoro educativo concreto, definito e verificabile anche con i genitori e le famiglie.

 

Il Multifamily Approach e le sue applicazioni in ambito europeo ed extra-europeo

Il Multifamily Approach è una metodologia di lavoro pensata per le famiglie multiproblematiche. Nasce a metà degli anni ’70 presso il Marlborough Family Service di Londra dalle intuizioni di Alan Cooklin, poi riprese e sistematizzate da Eia Asen.

L’approccio multifamiliare si struttura a partire da una considerazione: i disagi espressi dalle famiglie multiproblematiche (quei nuclei seguiti dai Servizi a seguito di provvedimenti di allontanamento;  famiglie che presentano differenti problemi quali l’abuso fisico, sessuale ed  emotivo, la negligenza, l’emarginazione sociale, la povertà, la disoccupazione, l’abuso di alcool e di altre sostanze, la violenza) non derivano da difficoltà di natura esclusivamente psicologica, in quanto a queste si associano difficoltà nell’area delle competenze educative e relazionali.

Tale approccio propone un modello di lavoro che mette al centro le famiglie, considerate protagoniste principali dell’intero intervento. La metodologia si focalizza primariamente sulle risorse esperienziali e sulle capacità possedute da ciascun nucleo familiare (portato a riflettere sulle stesse grazie alla condivisione con altre famiglie che vivono le stesse difficoltà).

Presso il Marlborough Family Service di Londra alle famiglie viene offerta la possibilità di sperimentarsi in contesti di vita quotidiana, all’interno di un setting  multifamiliare appositamente pensato. In sostanza, il programma prevede che un ristretto gruppo di famiglie (da 4 a 7 nuclei) si riunisca e partecipi contemporaneamente a un ciclo intensivo di day unit dove, condividendo alcune giornate in una dimensione di reciprocità, possano riscoprire le proprie competenze aiutandosi a vicenda nell’organizzare e gestire la giornata e nel far fronte alle difficoltà che emergono nella quotidianità della relazione genitori-figli.

L’intervento è intensivo e multi contestuale, sia in relazione ai luoghi in cui si svolge (per es.: il Centro Multifamiliare, luoghi di vita delle famiglie, spazi di aggregazione pubblici) sia per le modalità di lavoro in setting di condivisione: in gruppo di famiglie, per singoli nuclei o per genitori da un lato e figli dall’altro.

Sono i Servizi che la seguono a proporre alla famiglia di partecipare a un progetto multifamiliare. Prima dell’avvio del ciclo intensivo è previsto un incontro iniziale che coinvolge i professionisti, la famiglia e le figure significative indicate da quest’ultima. L’obiettivo di questo primo incontro consiste, oltre alla possibilità di riunire insieme tutte le persone interessate, nella condivisione delle preoccupazioni relative a quella determinata condizione familiare, sia ascoltando la voce dei professionisti sia il parere della famiglia interessata, per poi arrivare a una definizione comune del problema e all’individuazione di obiettivi di lavoro concreti sulla base delle aspettative di tutti i protagonisti coinvolti. Molta importanza è data alla possibilità di parlare apertamente, con chiarezza e senza alcuna previa conversazione tra operatori, ma condividendo fin dal principio del percorso le informazioni con la famiglia e gli altri significativi rendendole comprensibili a tutti.

Gli incontri di rete allargati sono riproposti anche in seguito, sia in fase di monitoraggio dell’intervento sia in fase di valutazione degli obiettivi.

Dopo il network meeting iniziale, viene definito il calendario degli incontri multifamiliari, compreso tra le 6 e le 12 settimane.

La metodologia prevede anche la possibilità di organizzare incontri multifamiliari soltanto  per i genitori.

Va precisato che le famiglie sono accompagnate nell’intero percorso da operatori dotati di qualifiche  diverse, il cui compito non consiste tanto nell’intervenire a sostegno delle carenze dei singoli, quanto nel facilitare le relazioni tra le famiglie e fornire feedback che aiutino a rileggere le dinamiche che scaturiscono nel gruppo. Si innescano dei cambiamenti: negli operatori, che da valutatori/risolutori delle difficoltà diventano accompagnatori e facilitatori; nelle famiglie, che da utenti e fruitori di interventi di sostegno/controllo (quindi da persone aiutate) diventano aiutanti delle altre famiglie in una posizione di sostanziale parità. La presenza di altre famiglie che vivono simili situazioni di vulnerabilità e fragilità nella cura e nell’accudimento dei figli permette ai genitori e ai bambini/ragazzi di uscire da una situazione di isolamento, di aprirsi a un confronto libero e non intaccato da giudizi e valutazioni e di promuovere dinamiche di auto-mutuo aiuto nel gruppo, scambiandosi feedback e trovando insieme soluzioni alle difficoltà quotidiane.

Oltre all’esperienza della Day Unit assume rilevanza anche quella dell’Educational Unit, la quale ha l’obiettivo di prevenire la dispersione scolastica. Essa prevede la partecipazione da sei a otto famiglie per gruppo che si ritrova a scuola per due ore la settimana.

Altre esperienze sono rintracciabili in numerosi contesti internazionali. Ben sette Paesi europei hanno  ottenuto un finanziamento con fondi del Programma Daphne (2004-2008) per promuovere lo sviluppo dell’approccio. I partner del progetto sono stati Belgio, Inghilterra, Germania, Danimarca, Francia, Polonia e Italia con l’esperienza del Centro di Trattamento Multifamiliare dell’ASL di Milano. Sempre in Italia (seconda fase del progetto), sono presenti diverse esperienze di attivazione di Centri Multifamiliari. Nel 2001 nasce a Milano il Centro Trattamento Multifamiliare dell’ASL Città di Milano (terminato nel  2006). Nel 2004 il Centro del Bambino e della Famiglia dell’ASL di Bergamo vive un’esperienza simile,  mentre nel 2008 anche il Comune di Sondrio è partito con un progetto di terapia multifamiliare. Nel 2009 nasce a Varese un nuovo Centro Multifamiliare dalla collaborazione tra l’Amministrazione comunale e la Cooperativa sociale La Casa davanti al sole. Nel corso del tempo si sono sviluppate e si stanno diffondendo in Italia anche esperienze più locali in diversi contesti e con diverse tipologie di utenza (trattamento dei disturbi alimentari, dei disturbi psichiatrici, ecc...).

 

Organizzazione del Centro diurno minori e famiglie “Signori Bambini” Limbiate

Il centro diurno accoglie fino ad un massimo di 15 minori dai 6 ai 14 anni (dalla 1^elementare alla 3^media compresa) con un rapporto educativo massimo di 1:5 (operatore:minori). I minori e le loro famiglie vengono inseriti  su indicazione dei Servizi Sociali di riferimento.

E' possibile inserire minori appartenenti a famiglie fragili e/o multiproblematiche che necessitano di un ambiente strutturato alternativo alla famiglia, per alcune ore al giorno, con necessità di interventi sul piano educativo e relazionale. Il centro si rivolge anche a minori inseriti in comunità residenziali o in affido familiare a tempo pieno, per i quali esistono le condizioni per un rientro graduale nell’ambiente familiare e nel territorio di appartenenza. Infine destinatarie dell'intervento posso anche essere famiglie che hanno problemi diversi ma generalmente riconducibili a difficoltà di rapporto tra genitori e figli, cambiamenti nella situazione familiare, disagio economico e problemi abitativi, conflitti fra i genitori, trauma dovuti a perdite o ad abbandoni, problemi psichiatrici, abuso di sostanze, violenze, maltrattamenti o abusi.

 

Il servizio è aperto da settembre a fine luglio, con degli orari flessibili nei periodi di chiusura della scuola (giornate lunghe-gite, vacanze, mattine etc.).

Il servizio durante l'anno è accessibile dal lunedì al venerdì dalle 13.30 alle 19.00, in particolare è prevista una fascia oraria dedicata alla fascia d’età 11-14 (scuole medie) dalle 13.30 alle 18.00 e un’altra per i bambini delle scuole elementari dalle 16.30 alle 19.00.

Un pomeriggio ogni due settimane e uno al mese, secondo moduli di 5 mesi, sono dedicati ad attività che coinvolgono gli adulti in prima persona, pensate esclusivamente per i genitori o rivolte all’intero nucleo familiare.

 

L'approccio multifamiliare al centro diurno “Signori Bambini”

L’applicazione dell’approccio multifamiliare al centro prevede il coinvolgimento attivo dell’intero nucleo familiare nei processi di cambiamento attivati in favore dei minori. Un pomeriggio ogni 15 giorni circa è dedicato alla partecipazione delle famiglie, che viene stabilita secondo moduli di cinque mesi, alternando momenti in cui ai genitori è richiesto di trascorrere il pomeriggio insieme ai propri figli e alle altre famiglie e momenti di gruppo dedicati ai soli adulti. Il lavoro si sviluppa così in modo integrato su due livelli, bambini e adulti. Ogni famiglia concorda con l'equipe e il servizio inviante un lavoro ad hoc, condividendo tempi e modi della sua partecipazione in base agli obiettivi e alle finalità emersi nell’incontro iniziale con gli operatori della rete, la famiglia stessa e il Centro Diurno Minori. Durante i pomeriggi multifamiliari le situazioni di vita reale sono ricreate in base ai temi quotidiani, dando la possibilità alle famiglie di evidenziare le interazioni familiari più problematiche e scoprire nuove soluzioni.

L’ingresso del minore e della sua famiglia al Centro Diurno segue un preciso schema di lavoro. Il primo contatto con il servizio inviante, generalmente il Servizio Minori, avviene attraverso l’invio da parte di quest’ultimo di una scheda di segnalazione dove viene indicata la composizione della famiglia (mappa/genogramma), una breve storia del rapporto tra famiglia e servizi (da quanto tempo, chi ha fatto cosa, con quali obiettivi, decreti), le motivazioni dell’invio (perché potrebbe essere utile il Centro Diurno? Quali richieste?).

Ad un primo incontro tra gli operatori del Centro Diurno e il Servizio Minori per presentare la situazione e le modalità di lavoro del Centro Diurno segue il primo incontro tra la famiglia, gli operatori del Centro Diurno e gli operatori del Servizio Minori (network meeting iniziale). Questo incontro riveste una particolare importanza, poiché pone le basi per una reale collaborazione con la famiglia e per l’impostazione del lavoro. In particolare l’incontro è volto a ricostruire la storia del rapporto famiglia/servizi; capire quali persone della famiglia sono coinvolte nel progetto; definire gli obiettivi da raggiungere al Centro Diurno; condividere il programma di partecipazione dei genitori al Centro Diurno;

definire il calendario dei successivi incontri di verifica; firmare il contratto.

Gli incontri multifamiliari (adulti e bambini insieme) prevedono una scandita articolazione del pomeriggio:

            13.00 – 14.30 Pranzo

            14.30 – 15.00 Gruppo multifamigliare

            15.00 – 17.30 Attività multifamigliare

  1. – 18.00 Gruppo multifamigliare

Il pranzo, organizzato solo in alcuni pomeriggi, è considerato una attività vera e propria, momento denso di significati e accadimenti che spesso sono connessi o ben rappresentano le difficoltà familiari, su cui quindi utilizzare il gruppo per lavorare. L’attività strutturata del pomeriggio viene sempre proposta seduti in cerchio ai divani del salone: sempre ai divani ci si ritroverà poi nell’ultima parte dell’incontro per condividere impressioni, riflessioni, feedback su quanto accaduto durante l’attività stessa. Le attività proposte sono organizzate in diversi formati a seconda degli obiettivi e delle esigenze: il gruppo può lavorare insieme o gli adulti e i bambini possono lavorare simultaneamente sul medesimo input per poi condividere e integrare i contenuti emersi. In altre situazioni la medesima attività è portata avanti famiglia per famiglia o con uno scambio di alcuni componenti del nucleo, sperimentando così la genitorialità vicariante.

Agli incontri multifamiliari si alternano incontri dedicati ai soli adulti. Ciò consente di avviare una  riflessione sulle difficoltà incontrate con i propri figli e sulle strategie adottate (o da pensare) per affrontarle, oltre che sui temi legati alla genitorialità individuati e poi condivisi dai partecipanti.

Il percorso al centro si conclude con un incontro di verifica finale tra la famiglia, gli operatori del Centro Diurno e gli operatori del Servizio Minori (network meeting finale e la stesura da parte degli operatori del Centro Diurno di una relazione al servizio inviante sull’andamento del lavoro svolto. La relazione, prima di essere consegnata al servizio inviante, viene letta ai genitori, dando loro modo di integrare in un apposito paragrafo con le loro riflessioni, correzioni, sottolineature.

 

Equipe psico-educativa

Il centro diurno è gestito da un’equipe psico-educativa, formata da due educatori professionali, da una coordinatrice pedagogica e da una psicologa.

Il lavoro educativo quotidiano è gestito da due operatori, che svolgono il ruolo di riferimento per i minori e i loro genitori.

In particolare tutti gli operatori si propongono come operatori di tutta la famiglia, non solo dei minori.

La presa in carico pertanto, coinvolge tutto il “sistema” (familiare) ovvero: “un aggregato di parte interagenti, ciascuna delle quali può esistere in sé, ma è interdipendente dalle altre e dal tutto secondo determinate leggi e regole” a causa di questa loro interdipendenza, quando “una parte cambia o viene danneggiata, tutte le altre parti e tutto il sistema sono coinvolti” (Formenti, 2012).

L’intervento pensato attraverserà tutte le dimensioni in gioco che si intrecciano, si attraversano e si sfiorano nella cornice familiare ovvero: sociale e professionale, famiglia, livello di coppia e individuale.

Ogni famiglia presa in carico, diventa protagonista di un unico progetto di cambiamento e trasformazione, nel quale ogni componente accompagna l’altro, ognuno si fa carico dei problemi del sistema familiare e tutti insieme accettano di raggiungere degli obiettivi condivisi in partenza con l’equipe. Per ogni obiettivo sono previste delle attività, che devono conciliare con tutte le dimensioni individuali e di gruppo mantenendo uno sguardo sulla quotidianità e sull’autenticità del momento.

Il metodo di lavoro si propone di considerare le famiglie elementi chiave nel “contratto” stipulato all’inizio della relazione. Come indica Schein in “Consulenza di processo” (2001) le famiglie vengono considerate come il “promotore” del cambiamento, il possessore del “problema” e della soluzione, pertanto solo in loro e solo con il loro contributo è possibile raggiungere un cambiamento auspicato. L’idea di Schein si riflette nell’idea di partecipazione attiva dei protagonisti di “Signori bambini”, i quali non sono solo attivi nel loro percorso ma lo sono anche negli altri, contribuendo al cambiamento.

Secondo Bion, il gruppo si identifica nel ruolo di contenitore, che ha il compito di  proteggere, sostenere, identificare al suo interno il contenuto (individuo/famiglia) il quale, sentendosi un po’ sollevato, riesce a dedicarsi al meglio alla cura di sé.

 

Riflettendo sul ruolo degli operatori all'interno dell'equipe, è possibile prendere spunto dal concetto di “coordinatore genitoriale” promosso a Roma nell’Università della Sapienza nel 2012, che proponeva di superare le difficoltà di lavoro in ambito familiare e genitoriale. Tale funzione era in principio ricoperta da: mediatore familiare, psicoterapeuta e dal Consulente Tecnico d’ufficio (figura giuridica), successivamente si è giunti all'introduzione di una nuova figura di taglio pedagogico che è appunto il coordinatore genitoriale.

Questa figura si occupa di “un intervento centrato su figli di genitori (divorziati, separati o non sposati) altamente conflittuali e quindi incapaci di prendere per proprio conto decisioni ottimali” che ha l'obiettivo di “ aiutare i genitori a realizzare il loro piano e minimizzare il conflitto cui i figli sono esposti a causa delle divergenze e delle ostilità irrisolte tra le parti” (Carter, 2014).

Il ruolo del coordinatore è “focalizzato ad aiutare i genitori a lavorare insieme per il bene dei propri figli” (Carter, 2014).

Le strategie d’intervento attuate da un coordinatore genitoriale sono:

  • Conoscere la storia della coppia e della famiglia;

  • Individuare le forma di conflitto , quindi il problema manifesto riportato dai protagonisti o dai servizi sociali, e quelle . Queste ultime sono più incisive sulle scelte quotidiane dei genitori soprattutto, perché agiscono in maniera invisibile e condizionano i rapporti familiari. Esse possono essere definite in clinica come delle “latenze cognitive” ovvero “ (Riva, 2004)

           

 

Conclusioni: nuovi scenari di intervento

In conclusione è possibile affermare che l'approccio multifamiliare con le famiglie multiproblematiche, anche grazie alla sua flessibilità, può offrire nuove prospettive e spunti di lavoro stimolanti in svariati contesti. Uno scenario di utilizzo interessante potrebbe essere nell'ambito delle comunità mamma-bambino o nelle comunità per soli minori.

La scelta di vivere in comunità per alcuni adulti è assolutamente volontaria e libera, mentre per gli altri (bambini e ragazzi) è quasi sempre imposta come intervento di protezione/sostegno/aiuto al minore e al suo nucleo in difficoltà. La comunità quindi per loro è una non-scelta, ma un’offerta, un’occasione resa indispensabile e inevitabile perché l’ente pubblico responsabile della loro protezione possa attuare un intervento di protezione ai rischi o ai danni familiari stessi (Bastianoni, Baiamonte, 2014). È importante che all’interno delle comunità venga adottato un orientamento centrato sulle relazioni interpersonali che valorizzi l’impegno, la competenza, la responsabilità e la capacità di ciascuno di realizzare relazioni uniche. Nelle comunità ciò che viene posto al centro è l’interesse del bambino/ragazzo, sia in comunità minori sia in comunità mamma- bambino. È fondamentale che l’intervento in comunità non interrompa la collaborazione con la famiglia di origine ma anzi, preveda un’intensificazione e una prosecuzione del lavoro con essa. In questo senso appare imprescindibile individuare occasioni concrete di partecipazione dei genitori presenti e disponibili anche se la loro motivazione è lieve. Per i bambini e i ragazzi, infatti, vedere che i propri genitori partecipano abbassa il livello del possibile “conflitto di lealtà” che vivono nella relazione tra gli operatori e la famiglia che, nonostante le difficoltà, rappresenta la loro origine (Secchi 2015). Proprio in questo ambito e in quest'ottica nuove sperimentazioni dell'approccio multifamiliare potrebbero quindi aprire nuovi significativi panorami di intervento educativo e pedagogico in tutela minori con i genitori.

 

 

BIBLIOGRAFIA

Asen, E., Dawson, N., McHugh, B. (2001). Multiple Family Therapy, The Marlborough Model and its wider applications. Karnac, London.

P., Baiamonte M. (2014). Il progetto educativo nelle comunità per minori:cos’è e come si costruisce. Erickson, Trento.

Bertolini, P., Caronia, L. (1993). Ragazzi difficili: Pedagogia interpretativa e linee di intervento. La nuova Italia, Scandicci.

Carter, D.K. (2014). Coordinazione genitoriale. Una guida pratica per i professionisti del diritto di famiglia. FrancoAngeli, Milano.

Demetrio  (1990) Educatori di professione. Pedagogia e didattiche del cambiamento nei servizi extra-scolastici 1990, La Nuova Italia

Formenti, L. (a cura di). (2012). Re-inventare la famiglia. Guida teorico-pratica per i professionisti dell'educazione. Apogeo.

Marlborough.thedigitalacademy.com . The Marlborough Model, Multiple Family Therapy Groups in Schools.

Riva, M.G. (2004). Il lavoro pedagogico. Guerini Scientifica, Milano.

Schein, E.H. (2001). La consulenza di processo. Cortina.

Secchi, G. (2015). Lavorare con le famiglie nelle comunità per minori. Erickson, Trento

 

 

a cura di

Marcella Lisi,
Coordinatrice Pedagogica

Piccione Maria Elena, Psicologa

Centro Diurno Minori e Famiglie Signori Bambini, Limbiate

Cooperativa Sociale Comondo Onlus

 

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hanno assistito al lavoro

Sara Cervellera

Rossana Francesca Amelio

Rossella Casaburi

Eleonora Pislor

Bisceglia Sonia Sofia

Annalisa Zomero

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