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La cura nei rapporti con i genitori

Dimensione progettuale servizi 0-6 anni. Ruolo del pedagogista nella progettazione, nella supervisione e nei rapporti (genitori, equipe, territorio)

INTRODUZIONE

Per la stesura di questo articolo siamo partite dalla condivisione di un interesse comune emerso durante la prima fase, più espositiva, della figura del pedagogista nei servizi 0-6 anni.

Ciò che ha fatto da filo conduttore nella riflessione è, senza ombra di dubbi, il tema della cura. Il prendersi cura delle relazioni è un po’ il biglietto da visita di un pedagogista.

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“La cura è una pratica che consente all’altro di scoprire e sperimentare le proprie potenzialità iniziando così a costruire la propria forma”.  (La cura educativa. Riflessioni ed esperienze tra le pieghe dell'educare di Cristina Palmieri)

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“Ogni professione educativa che implica una pratica educativa e azioni formative indirizzate al benessere del soggetto, è una professione di cura” ( Vanna Boffo)

 

“La cura è un atteggiamento e non un semplice comportamento. E' un saper essere che s'istituisce con la messa in prova della vita stessa, attimo per attimo, situazione dopo situazione. E' attraverso di essa che la stessa vita può svelare la sue opportunità      (L'intenzionalità educativa fra progettazione e cura, in F. Cambi)

 

 

Per meglio sintetizzare e dare forma al significato di cura le studentesse hanno individuato delle immagini che, in maniera rappresentativa, concretizzano il concetto della CURA:

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Prendersi cura vuol dire avere a cuore i rapporti che nascono all’interno di una realtà educativa con una chiara mission: al centro c’è il bene del bambino e in questo bene c’è anche la relazione che si crea, si costruisce e si custodisce con i suoi genitori.

Questa è un’immagine del libro “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint Exupéry che ci mostra come il Piccolo  Principe si prende cura di una rosa, la sua rosa, nata per caso in un ambiente non proprio consono alla nascita di fiori; e così come il Piccolo Principe, noi pedagogisti ci prendiamo cura (o meglio dovremmo) del rapporto con i genitori, sia che nascano occasionalmente, sia che nascano intenzionalmente.

 

 

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Un’altra immagine strettamente connessa e presa sempre dal libro ”Il Piccolo Principe”, è quella del disegno di un cappello.

Questo disegno sta ad indicare che ogni cosa può in realtà nascondere altro e questo “altro” lo dobbiamo scoprire cercando di guardare oltre alle apparenze per vedere e comprendere l’essenza delle cose, delle situazioni, delle relazioni.

Cambiare il nostro sguardo significa mettere in atto uno sguardo di secondo livello, uno sguardo attivo, che va in profondità.

Andare oltre significa fare ipotesi, porsi delle domane, essere curiosi, non dare nulla per scontato e non accontentarsi delle informazioni iniziali che ci vengono fornite da un servizio (vorrebbe dire essere superficiali e un lavoro come il nostro non lo permette); significa inoltre creare dei legami e quindi conoscere realmente le cose, dato fondamentale per poter agire.

 

 

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Da rilevare la metafora del giardiniere: come il giardiniere mantiene il proprio sguardo sulla pianticella che vuole far crescere, ogni professionista della cura deve avere uno sguardo sulle persone, sulle relazioni, sui rapporti che si creano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Prendersi cura è: “accompagnami per un po’”… ma sappi rispettare i miei tempi, i miei silenzi, i miei bisogni di riflessione. Il pedagogista sa accompagnare, sostenere ma anche  rimanere un passo indietro perché chi cammina ha bisogno anche di sentirsi valorizzato a tal punto da riuscire a compiere da solo l’ultimo pezzo di strada.

 

 

LA CURA NEI RAPPORTI CON I GENITORI

Ogni bambino che entra nelle nostre scuole, nei nostri nidi ci entra carico di storie, di emozioni, di esperienze che lo rendono unico, irripetibile. Quando noi accogliamo un bambino, di fatto accogliamo la sua storia, i suoi genitori.

In una società in cui il ruolo del genitore sta cambiando così velocemente, c’è bisogno di ambienti educativi che sappiano riflettere, progettare e verificare lo stile con cui si pongono a fianco di mamma e papà.

Dico di fianco perché in tutti i casi non si tratta di sostituirsi a loro o di porsi come i depositari di una sapienza per loro irraggiungibile, ma di stringere un’alleanza educativa che abbia a cuore il bene del bambino.

È essenziale che i genitori si sentano accolti, accettati, partecipi  e che riescano, con l’aiuto degli educatori e pedagogisti, a decodificare quanto avviene nella routine dei loro bambini.

Si deve creare una relazione che deve essere, in primo luogo, di cura affinché sia pienamente educativa e formativa in quanto sostiene il genitore attraverso un legame fatto di attenzione, sostegno e dialogo.

La parola chiave per questo rapporto con i genitori è “supporto”, un supporto attraverso uno sguardo attento a ciò che sta vivendo perché poi i loro vissuti e le loro emozioni vanno a ricadere sui bambini soprattutto molto piccoli.

 

Basta pensare il genitore che iscrive il proprio figlio al nido o scuola dell’infanzia compie intanto un gesto di grande valore simbolico, quello di affidare, consegnare ad altri, il proprio figlio per la prima volta.

La relazione segue un percorso dinamico e si traduce in possibilità perennemente aperta ad una molteplicità infinita di altre relazioni. Essendo la persona il centro attorno a cui si costruisce, la relazione porta al riconoscimento della comune umanità e della diversità individuale e culturale, e quindi ad accogliere l’identità e la differenza.

Un rapporto educativo non può essere affidato all’improvvisazione, ma deve scaturire da scelte, strategie e valori. L’intenzionalità della struttura educativa si traduce nell’avviare un processo di comprensione di desideri, bisogni e attese.

 

 

LE TAPPE DEL “PRENDERSI CURA”

“La cura ha a che fare con la coltivazione delle potenzialità esistenti delle persone, a partire dalle condizioni affettive in cui si trovano a vivere” ( Cristina Palmieri, Riflessioni pedagogiche sull’esperienza di cura educativa)

 

In questi anni, nelle mie scuole ( nido, sezioni primavera e scuole dell’infanzia) ho sperimentato alcune strategie per migliorare e valorizzare sempre più lo “stare con le famiglie” e l’essere sostenitori di momenti di cura.  

  • Predisporre momenti di incontro formali e informali per presentare il progetto educativo della scuola, del nido

  • Dare modo ai genitori di parlarci del proprio bambino usando foto, spezzoni di vita quotidiana, routine

  • Creare un ambiente accogliente e familiare che sappia “parlare” ai genitori dando ragione delle tappe del percorso educativo del bambino. Unaparticolare attenzione l’ha il modo con cui documentiamole tappe della Progettare vuol dire permettere al bambino di avere accanto un adulto che lo guida, lo sollecita in un percorso che viene co- costruito insieme a tutti gli attori nel processo educativo. L’adulto deve favorire la creatività dei bambini facendoli ragionare sui contesti che devono essere flessibili, accoglienti, attrezzati per indurre esplorazione. Il gioco stesso, che appartiene alla nostra vita, rappresenta il fulcro della progettazione pedagogica per la prima infanzia. Rispettare il bambino significa restituire dignità alla sua persona, non banalizzare quello che fa, non dare nulla per scontato, non assegnargli compiti troppo difficili o materiali inadatti per evitare che si senta mortificato.

Da qui scaturisce l’idea di bambino che:

  • Elabora creativamente

  • Produce relazioni, ed è alla ricerca di significati

  • Ha le potenzialità inserite nei 100 linguaggi ( mani pensanti)

  •  E’ capace e disponibile ad apprendere

  • Sa stare pertinentemente in relazione

  •  E’ adatto a ricercare, interrogare la realtà

  • E’ capace di sperimentare ipotesi e fare teorie provvisorie

Scaturisce anche  l’idea di genitori che sono una risorsa, che si sentono coinvolti nelle politiche scolastiche ( gestione e organi collegiali) e che vanno “tenuti dentro” nelle situazioni dove ci sono problematiche

  • Coinvolgere i genitori nel realizzare qualcosa di bello che resti al nido e a scuola per essere strumento di gioco e apprendimento per i bambini : è bello creare attese nei bambini ed è altresì bello che i genitori si sentano protagonisti di questo processo

  • Rispettare i tempi e i percorsi di ciascuno, promuovendo il benessere emotivo, affettivo e relazionale

  • Sviluppare una cultura curando momenti di formazione e autoformazione per i genitori ( incontri con specialisti, tavole rotonde tra genitori, momenti di confronto con la pedagogista e le educatrici, seminari). In particolare per la fascia 0-1 anno:

  • Incontri pre-parto: presenza di ostetrica, psicologa, pediatra ed osteopata per aiutare le future famiglie ad affrontare nel modo più sereno possibile la gravidanza e il momento del parto.

  • Corso AIMI (massaggio infantile): i genitori imparano che attraverso il massaggio possono accompagnare e stimolare la crescita e la salute del proprio bambino, imparando a calmare, rassicurare e tranquillizzare attraverso il tocco delle mani.

  • Incrementare la relazione tra nido/ scuola dell’infanzia e genitori: riunioni, colloqui, scambi quotidiani informali, portfolio delle competenze, diario di bordo

  • Sostenere la condivisione di modelli educativi

  • Stimolare i genitori nella progettazione e nella valorizzazione del piano dell’offerta formativa: apertura al territorio

  • Cogliere la complessità dei vissuti che si intrecciano nelle relazioni, i bisogni e le risorse dei genitori attraverso una chiave educativa ( importanza della condivisione in equipe)

 

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Mi sembra doveroso riportare anche le esperienze lavorative di una studentessa che, riflettendo sul tema della cura e del sostegno alla genitorialità  riporta che:

“… pensando alla cura con i genitori considero che il nostro compito sia  anche quello di ascoltarli, supportarli  e non farli sentire soli nell’affrontare situazioni che sono molto complesse, in modo che attraverso il nostro aiuto possono riflettere sulle loro pratiche educative genitoriali vedendo attraverso il nostro sguardo le situazioni da un altro punto di vista. Penso che quando si prende in carico una persona automaticamente si prende in carico la famiglia e la parola chiave secondo me nella relazione per questo rapporto con i genitori è “supporto”, un supporto attraverso uno sguardo attento a ciò che sta vivendo perché poi i loro vissuti, le loro emozioni vanno a ricadere sui bambini soprattutto molto piccoli nido e scuola dell’infanzia”

 

UNA COMPETENZA PEDAGOGICA COMPLESSA:

Il pedagogista, in questa relazione di cura si pone come un mediatore.

Metafora del mediatore di Canevaro: possiamo utilizzare la metafora di chi vuole attraversare un corso d'acqua che separa due sponde e non vuole bagnarsi: mette dunque i piedi sulle pietre che affiorano. Forse butta una pietra per costruire un appoggio laddove manca. Questi appoggi sono i mediatori, coloro che forniscono un sostegno e si appoggiano l'uno all'altro. Un mediatore è un semplice sasso su cui appoggiare il piede per andare all'altra riva. L'importante è costruire collegamenti e andare avanti. Se un mediatore non invitasse a quello successivo, non sarebbe più tale..

Il mediatore connette, collega, crea dei passaggi, rende concreta la possibilità di mettere qualcosa in comune. Ma traghetta anche verso qualcosa di nuovo.

E’ bello pensare a questo movimento continuo, perché nel divenire delle cose, nello svolgersi delle relazioni si crea sempre una nuova possibilità, si sciolgono situazioni, si creano risorse inaspettate, si sviluppa una mentalità aperta e capace di porsi davanti al reale un po’ come lo sguardo curioso e mai banale del bambino.

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di Franca Cassani

Coordinatrice pedagogica

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Scuola dell'infanzia Sacro Cuore

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con il contributo di

Ambra Nicoli

Chiara Guzzini

Federica Tamiozzo

Marzia Di Chio

Valentina Manfrin

Chiara Ceriani

Chiara Viscardi

Daniela Capanelli

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