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COORDINAMENTO: COMPLESSITA’ E RICCHEZZA

Conduttrice del workshop: Laura Bortolotti, Cooperativa Sociale Eureka!


Elaborato prodotto, curato e realizzato da: Marta Arduino, Matteo Brognoli, Sara Caironi, Sabjela Matoshi, Andrea Maria Piccichino, Eleonora Quatela, Maria Elena Ravarotto, Crsitina Veronese, Paolo Zanda

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All’interno dell’offerta formativa proposta dal nostro corso di Laurea in Scienze Pedagogiche, ed in particolare dal Tirocinio Formativo e di Orientamento, previsto nel secondo anno del corso, a noi studenti è stata data la possibilità di partecipare ad alcuni workshop. Sebbene questi fossero focalizzati, generalmente, sulle funzioni pedagogiche e/o il ruolo del pedagogista giocato in diverse situazioni, ogni workshop possedeva una tematica specifica. 
In particolare il nostro gruppo ha preso parte ad un incontro che aveva come focus d’attenzione la funzione di secondo livello del coordinamento: quello che poteva riguardare la praticità, le peculiarità, la ricchezza e le difficoltà riguardo questo tipo di attività. L’incontro ha avuto luogo all’interno dell’Asilo Nido “La Trottola”, situato a Peschiera Borromeo e gestito dalla Cooperativa Sociale “Eureka!”. Conduttrice dell’incontro, infatti, è stata Laura Bortolotti, responsabile delle risorse umane e dei progetti della cooperativa stessa: con asili familiari, nidi comunali e aziendali, scuole dell’infanzia e tante altre tipologie di servizio, l’ente cerca di portare avanti il suo impegno riguardante la prevenzione del disagio sociale e la promozione della qualità della vita.
Inizialmente l’incontro si è aperto proprio con una riflessione, stimolata dalla conduttrice, riguardo ai servizi alla persona: questi, per poter essere efficienti e coerenti con il loro mandato istituzionale, presuppongono che vi sia al loro interno una cultura della cura e dell’accoglienza, basata sull’ ascolto e sull’osservazione. Sono quattro pilastri di alto valore pedagogico, dai quali nessun servizio può prescindere nella sua essenza ed esistenza. Nella discussione, ci si è soffermati sull’accoglienza nello specifico, osservando come questa sia una caratteristica riscontrabile a più livelli all’interno di un servizio: disposizione dello spazio, un approccio mentale a chi sta arrivando, luoghi e tempi investiti di attenzione, riti di accoglienza. Tutte queste accortezze e scelte operative possono aiutare e aiutarci nel creare un setting accogliente per chi entra nel nostro servizio, soprattutto quando partiamo dalle nostre premesse e aspettative: “Come mi piacerebbe essere accolto?” “Che cosa significa accoglienza per me?”
Domande come queste presuppongono che vi sia un ulteriore pilastro che un operatore deve saper possedere e utilizzare per sviluppare un clima di accoglienza: la conoscenza di se stesso. Stare a contatto con l’altro può provocare in noi fenomeni di risonanza emotiva, e conoscersi è il punto di partenza fondamentale per poter andare incontro all’altro in maniera autentica, per poter prendersi cura della relazione: “per imparare a conoscerti, devo dapprima conoscermi.”
A tal proposito ci è stato mostrato un breve video riguardo l’empatia, per sottolineare quanto questa capacità possa essere utile per comprendere l’altro e potersi prendere cura di lui e dei processi educativi e/o formativi che lo riguardano. 
Queste caratteristiche appartengono, inevitabilmente, anche e soprattutto a coloro che vogliano svolgere la funzione di coordinamento pedagogico all’interno dei servizi educativi: è necessario che tramite l’osservazione e l’ascolto siano in grado di saper entrare in contatto in maniera empatica con il contesto in cui sono chiamati ad agire, al fine di prendersene in carico con cura e responsabilità.
E, a questa empatia, è sempre utile allenarsi: cercare di capire l’altro con cui stiamo in relazione è uno dei processi più difficili in cui siamo implicati, e spesso ci si sente troppo bravi e capaci nel farlo, come se ci si sentisse “arrivati”, senza più nulla da imparare. Approcciarsi con umiltà a questo può significare, per un coordinatore, la possibilità di porsi sempre in atteggiamento di apprendimento e di apertura, senza pretendere di avere la verità in tasca o le risposte pronte all’occorrenza. Anche perché, come ripreso da un collega, probabilmente “quello che migliora le cose è il legame non le risposte” : l’ansia e l’aspettativa di dover risolvere situazioni o di avere tutto sotto controllo non devono essere il centro del nostro lavoro; serve spostarsi da questo per concentrarsi su ciò che conta, sulle priorità educative. Un movimento di prospettiva del coordinatore può cominciare esattamente da qui.

A questo punto, per poter avviare un confronto che fosse stimolante e generativo, su suggerimento della conduttrice si è scelto di produrre un cartellone sul quale posizionare al centro la parola “Coordinamento”. Ognuno dei partecipanti ha avuto alcuni minuti per poter scrivere sul foglio alcune parole chiave che secondo lui/lei potevano riguardare questa funzione di secondo livello. 
Di seguito riportiamo una foto del cartellone da noi creato. 
Nelle pagine seguenti vi sono, rielaborate in chiave pedagogica, alcune piste di pensiero che si sono sviluppate dal confronto costruttivo e comunicativo che da queste parole si è generato.

Coordinamento nel contesto
Dapprima alcuni colleghi hanno sottolineato che un coordinatore, come prima cosa, è un professionista situato. Parole come “radici” e “albero” stavano proprio a significare come coordinare sia un’operazione che, per quanto possa avere delle competenze trasversali, cambia a seconda del luogo in cui ci si trova. Coordinare un asilo nido, piuttosto che un centro di accoglienza per tossicodipendenti o un centro diurno per persone con disabilità, assume significati e forme assai differenti. In quest’ottica il coordinatore deve sapersi adattare al contesto, senza perdere la sua identità professionale: impara a ricalibrare il suo lavoro rispetto alla situazione.
Perciò serve che il coordinatore abbia un’idea del servizio che sta coordinando, a più livelli: conoscere il peso e il ruolo politico che gioca la struttura, la sua origine storica, la mission che essa deve perseguire, ma allo stesso tempo conoscere la concretezza che si abita e quindi porre attenzione al gruppo di équipe e il setting materiale che è il servizio. 
Significa che da un lato il coordinamento si esercita nella consapevolezza delle dinamiche di contesto politiche e sociali esistenti: dai rapporti del servizio ai processi di crisi sociale e privatizzazione, dallo sguardo sull’ambiente e sul contesto sociale in continuo cambiamento; ogni aspetto deve essere conosciuto per significare il proprio lavoro. Questo, anche nell’ottica di mantenere la responsabilità dell’offerta qualitativa del servizio: nel mandato istituzionale il coordinatore deve lavorare affinché il servizio sia democratico, equo per tutti coloro che vi si rapportano.
Dall’altro lato coordinare un servizio implica aver ben presente tutta una serie di dati quantitativi e concreti che riguardano la struttura stessa: costi, vincoli burocratici, risorse presenti, raccolta e produzione della documentazione, contatti, iscrizioni dell’utenza, gestione della struttura  etc. Se è vero che il coordinamento pedagogico ha una sfumatura umanistica, ne possiede anche una “scientifica” in un certo senso: serve sapersi giostrare tra le relazioni e le pratiche in relazione tra loro, per non perdere passaggi di lavoro importanti.
Per coordinare si parte dalla conoscenza dei contesti. Ecco perché, anche dalla discussione tra noi colleghi, si è parlato di come uno studente, per quanto preparato e formato in ambito universitario, non può pretendere di saper coordinare un servizio appena terminato il corso di Laurea, senza aver conosciuto in qualche modo le dinamiche, i compiti e l’operatività che appartiene a quella tipologia di servizio.

Si è poi discusso su come il coordinatore debba essere l’anello di congiunzione di un più complesso ingranaggio: lavoro con l’utenza, lavoro d’équipe, gestione del servizio, rapporti amministrativi, comunicazione con l’ente, rapporti con il territorio e il lavoro di rete. Queste, e tante altre, sono componenti del lavoro che il coordinatore deve saper conoscere, intrecciare e mettere in comunicazione tra loro, al fine di produrre un lavoro educativo che sia il meno possibile frammentato e discontinuo. Serve che sia quell’intreccio tra più cerchi, quell’area d’intersezione che sappia tenere le fila e che promuova lo sviluppo di uno stile comune d’azione, una direzione pedagogicamente unita. Per usare un’immagine, il coordinatore potrebbe lavorare come lo zoom di una macchina fotografica: saper allargare e focalizzare lo sguardo rispetto alle istanze e alle esigenze della situazione è una competenza fondamentale del coordinare. Allo stesso tempo il coordinatore deve saper mediare tra il dentro e il fuori il servizio, tra il dentro e il fuori l’équipe, attraverso le sue competenze di ascolto e di “fare unione”, lavorando con le relazioni. In questo senso il coordinamento è rivolto a creare diverse connessioni.
Una collega, a questo proposito, ha riportato come sia difficile a volte riuscire a mantenere questo compito, per esempio nel rapportarsi con le famiglie (in riferimento al coordinamento degli asili nido) che non sempre creano l’alleanza di lavoro con il servizio. 
Nel caso specifico una famiglia, per continui disguidi e problemi organizzativi, non ha voluto seguire le linee guida di inserimento  per la loro figlia nel servizio: questo ha fatto sì che le normali procedure e tempistiche di accoglienza si siano dovute compattare e di questo la bambina ne ha sofferto visibilmente. Questo esempio è stato utile per ragionare anche sul fatto che, come pedagogisti, a volte non veniamo ancora percepiti come detentori di un sapere: culturalmente parlando e riprendendo le parole di una collega “veniamo ancora visti come quelli che giocano con i bambini, che pettinano con loro le bambole, le tate”. Se è vero che siamo professionisti, la base dell’alleanza educativa può partire dal nostro tutelare la nostra professione, ribandendo le nostre modalità di lavoro per non mettere a rischio la validità e il valore del lavoro educativo che si vuole proporre e produrre.

Rapportarsi con l’équipe
In seguito abbiamo parlato di come il coordinamento debba prendersi cura del gruppo d’équipe: questo mandato di lavoro si declina in diversi modi, attenzioni e attività che devono esserci nel quotidiano. Da una parte egli può essere chiamato a seguire la programmazione degli interventi, alle verifiche dei progetti e al monitoraggio in itinere del lavoro educativo, svolto dagli educatori. Dall’altra parte egli deve saper creare una linea d’intervento comune del gruppo di lavoro, al fine di creare una coerenza pedagogica dell’équipe, e questo può rivelarsi un compito davvero difficoltoso, proprio per la complessità che si gioca nel gruppo degli educatori.
L’équipe può essere formata da professionisti che sono stati messi a lavorare insieme da poco, può essere un’équipe “giovane”, composta da operatori appena usciti dalla formazione e con poca esperienza, oppure da un gruppo di persone che ormai lavora da tanto tempo insieme e che si è cristallizzato in alcune dinamiche di lavoro. Ci può essere un nuovo operatore che si sta ambientando ancora nel gruppo, oppure alcuni educatori che portano vissuti di fatica rispetto al rapporto con l’utenza. Tutti questi sono elementi di cui il coordinatore deve badare per prendersi cura delle dinamiche di gruppo e per la formazione di un’identità di lavoro condivisa. Potrebbe anche esserci un’équipe formata per metà da operatori comunali e per metà da operatori assunti dalla cooperativa : arrivare da percorsi professionali così differenti, anche a livello politico e culturale, potrebbe creare sia ricchezza e confronto, ma anche attriti e pregiudizi tra gli operatori. Interrogarsi sul peso di tutto questo è qualcosa da cui non può prescindere nessun coordinatore che voglia investire valenza pedagogica nel suo operato. La ri-alfabetizzazione del lavoro degli educatori ha la potenzialità sia di rifondare che di distruggere il lavoro educativo stesso: dipende da come questo processo viene pensato, preso in carico e risignificato dal coordinatore, che può assumere il ruolo di facilitatore della comunicazione e di processo, soprattutto alla presenza di conflitti in atto.
Senza contare che, per un coordinatore, saper creare un clima di lavoro accogliente significa poter creare un legame di appartenenza tra gli operatori e il servizio stesso: ulteriore fattore che aumenta la qualità del lavoro educativo. Se ci si sente appartenenti, il tempo “sprecato” o “regalato” al servizio non vengono vissuti, nel caso servissero, come un peso, ma come una cosa che serve agli operatori per vivere ancora meglio la loro esperienza di lavoro.
E, come discutevamo inizialmente tra di noi, i servizi sono in continuo mutamento.
Ogni nido, e in generale ogni servizio, si può considerare come una repubblica pedagogica: si sviluppa, si ri-crea nel tempo, si contestualizza rispetto al territorio e al gruppo di équipe che lo abita; e sebbene ci sia un impianto e una linea guida data dall’ente, l’interpretazione del processo e la declinazione della mission nel concreto cambierà dal gruppo d’équipe e dal coordinatore presenti. Per far sì che tra i vari cambiamenti rimanga comunque una certa coerenza tra processi di progettazione, attività e obiettivi, il coordinatore può e deve presiedere a queste dinamiche, senza togliere spazio al ruolo degli educatori, ma intervenendo quando a questi sfuggono alcuni passaggi o alcuni elementi. Anche in questo senso il lavoro di équipe è un fare coscienza e memoria: ritagliarsi uno spazio di verbalizzazione, di riflessione condivisa, di sedimentazione dei vissuti serve a chiunque nel servizio per risignificare i propri agiti, darsi la possibilità di cambiare prospettiva e aumentare la valenza pedagogica delle proprie pratiche. Questo anche nell’ottica di coltivare una cultura del proprio lavoro educativo: raccontandoci un aneddoto della sua esperienza la conduttrice ci ha spiegato come in una sua esperienza a Barcellona abbia visto come l’idea di educazione cambi molto di Paese in Paese, a seconda della cultura e dell’idea di infanzia (in riferimento agli asili nido) che si sviluppa . I momenti d’équipe sono creati anche per questo, per dirsi a che tipo di cultura pedagogica ed educativa si appartiene e che cultura si sta producendo, in quel luogo e in quel tempo. Chi si riunisce solo per le emergenze perde sicuramente delle occasioni in questo senso.
Sempre riguardo alla cura dei processi d’équipe, si sono accostate al coordinamento la capacità e la competenza di riuscire a rendere espliciti gli impliciti dell’équipe stessa. Riguardo a questo, si è discusso di come spesso le fatiche emotive e i vissuti di difficoltà che vengono portati in équipe possano essere utilizzati dal coordinatore per produrre qualcosa di generativo e costruttivo per gli operatori stessi. Le emozioni possono essere informazioni sulle nostre premesse e cornici di riferimento, e il coordinatore, sapendo questo, può lavorare con e per l’équipe per fare emergere questi non detti, così da sviluppare un contesto di apprendimento e di crescita del gruppo. Questa meta riflessione è una pratica importante, volta ad aumentare la consapevolezza di ogni educatore riguardo alle sue idee di pedagogia, di educazione, di approcci all’educare: ognuna di queste idee impatta ogni giorno nelle pratiche, e conoscersi quando si è in situazione è importantissimo per saperci giocare al meglio in relazione. Coordinare deve passare anche da qui.

Il gruppo poi si è concentrato su quali possano essere le fatiche e le risorse nella funzione di coordinamento, anche facendo domande ad una collega che lavora come coordinatrice di un asilo nido. È stato interessante ragionare sulla sua esperienza diretta sul campo sui vantaggi e svantaggi che vive nel ricoprire il suo ruolo e la sua funzione. Ci ha raccontato come, nel suo lavoro, abbia la possibilità e il mandato di essere sia educatrice che coordinatrice del servizio in cui lavora. Questo da una parte può essere visto come un vantaggio, nella misura in cui la coordinatrice è in grado di comprendere maggiormente le problematiche e le situazioni di criticità che riguardano il lavoro educativo e le educatrici, proprio perché le vive “sulla propria pelle” e sul campo nella quotidianità. Riprendendo le sue parole “certe dinamiche, dai tempi, agli spazi, all’organizzazione nell’inserimento dei bambini, ai rapporti con le famiglie e, soprattutto, le difficoltà si comprendono appieno soltanto se le si sono vissute sul campo. È fondamentale vivere il lavoro educativo in quel contesto lì perché in questo modo il mio bagaglio, fatto di teoria ed esperienza pratica, è veramente completo: il lavorare all’interno del servizio con un ruolo doppio, il condividere le fatiche delle educatrici che coordino, a mio giudizio, è l’unico modo per rendermi pienamente conto di ciò che serve al mio gruppo per funzionare nella maniera migliore.” Allo stesso tempo, però, ci ha anche riportato come ci siano delle fatiche nel ricoprire la sua funzione in questo contesto, per esempio nell’aver “uno sguardo dall’alto”: staccarsi dal ruolo di coordinatrice quando serve e ritornarvi all’occorrenza non è così semplice e crea dinamiche relazionali e decisionali che possono rivelarsi di difficile gestione per un coordinatore. Sebbene si possa contare sul lavoro d’équipe e sulla comprensione delle persone con cui si lavora, non sempre la posizione del coordinatore è tutelata in situazione, e dobbiamo saperlo, per essere pronti a non vacillare davanti a decisioni tanto scomode, quanto necessarie.
Per svolgere tutte queste mansioni, un coordinatore poi deve anche essere umile: ricollegandosi alla conoscenza di sé stessi, ci siamo confrontati sul fatto che lo stesso coordinatore, oltre a supportare il lavoro educativo, ha bisogno a sua volta di supporto. Conoscere i propri limiti, essere capace di chiedere e di ricevere aiuto non sono segni di debolezza o di non adeguatezza, ma di disponibilità e di apertura al confronto. Soprattutto in questa società che non ammette limiti, deficit o mancanze, serve produrre una cultura dell’accettarsi e del limite come confine dell’incontro, dove chiunque può imparare a sentirsi libero, anche nel suo ruolo professionale.
Infine, e per concludere, ci sembra di aver sfruttato questo spazio formativo per ragionare e riflettere insieme sulla complessità che ruota attorno il coordinamento pedagogico, cercando di cogliere aspetti innovativi e dubbi irrisolti. Siamo usciti dal nostro confronto con alcune risposte in più, ma altrettante nuove domande che aprono nuovi orizzonti di pensiero, che ognuno di noi cercherà di riprendere e approfondire nella propria esperienza professionale.
 

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