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In dialogo con le Famiglie

nuovi bisogni, gestione delle criticità, alleanza educativa

Nuovi bisogni - Perché parlare di nuovi bisogni?
Sono nuove le famiglie o i bisogni?

Verrebbe da chiedersi se siano cambiate le famiglie, le persone o addirittura la società nel suo complesso.

Le famiglie, per diversi aspetti, sono indubbiamente diverse da anni fa: oggi possiamo trovare, accanto a famiglie nucleari, famiglie allargate,mono-genitoriali, omossessuali, famiglie che attraversano crisi di coppia, che perdono il lavoro, famiglie che talvolta perdono se stesse… L’elemento che può accomunare le diverse tipologie di famiglie è la complessità che non necessariamente porta con sé un’accezione negativa.

Indubbiamente la complessità, unita a determinate caratteristiche storiche, sociali e ambientali, può comportare cambiamenti, nuove paure, emozioni, disagi…insomma nuovi bisogni. Nella relazione con le famiglie la considerazione preventiva di tutti queste variabili e possibilità è imprescindibile.

Anche la società, intesa come un sistema vivente, fatto di persone in relazione, mostra cambiamenti rispetto al passato: frenesia, ritmi lenti che lasciano il passo a ritmi più veloci, crisi di valori, crisi economica, crisi educativa…

Nuovi ritmi, nuovi ruoli, nuovi bisogni…un circolo virtuoso tra famiglie a ambiente sociale.

Ma cosa intendiamo con la parola “bisogno”?

Il bisogno è la fonte principale, se non unica, del nostro comportamento, è ciò che ci permette di essere “attivi” rispetto all’ambiente.

In totale e assoluta assenza di bisogni si può escludere la possibilità di un’attività. L’uomo non agisce senza la spinta di uno stato di squilibrio provocato dal bisogno, un gap tra ciò che ha e ciò che desidera avere.

Il bisogno è la molla fondamentale alla base dell’apprendimento, senza bisogno, senza curiosità e desiderio un bambino, ad esempio, non apprende, non si evolve.

Tutta la nostra vita è permeata dai bisogni ma spesso essi non sono così facili da identificare.

All’interno di un servizio educativo, a maggior ragione se si sta svolgendo un ruolo di coordinamento o di consulenza, è necessario porre particolare attenzione ai bisogni dell’interlocutore.

Tali bisogni possono essere espliciti e quindi chiari da cogliere, ma anche e spesso impliciti, non manifesti, oppure mascherati da altro. Alcuni di essi vanno indagati, scoperti e raccolti anche attraverso la comunicazione non verbale: gesti, comportamenti, sguardi ed emozioni.

Ogni segnale della famiglia va colto e utilizzato.

Il lavoro educativo consiste in questo: prendersi carico della totalità della persona che abbiamo davanti, cercare di astenersi dal giudizio, prendere una giusta distanza emotiva e cercare, laddove possibile, di fornire risposte concrete al bisogno.

La famiglia che si rivolge all’educatore, al coordinatore o al consulente lo fa perché cerca delle professionalità specifiche, preparate all’ascolto e alla comprensione.

 

Il dialogo con le famiglie

Dal secondo dopoguerra in poi, il tema della genitorialità è stato oggetto di grande interesse per coloro che si occupano di educazione. I mutamenti sociali attuali hanno portato le famiglie ad esprimere sempre più frequentemente il bisogno di essere sostenute nella loro funzione educativa: per questo, quando i genitori entrano in relazione con educatori e insegnanti, lo fanno portando il loro grande carico di incertezze e di fragilità.

I servizi educativi sono, così, chiamati a garantire un luogo di “sicurezza” sia per gli utenti che per i genitori, luogo in cui si ha la necessità di costruire e ricostruire continuamente intese tra questi due sistemi.

Il Dialogo tra genitori ed educatori non solo è possibile, ma è necessario e presuppone l’ascoltare, lasciar emergere le domande e le aspettative di ciascuno, per arrivare al “dialogo del Noi”.

Il coinvolgimento dei genitori in questa dialettica è un processo graduale, riassumibile in cinque tappe:

  • informare (attraverso la documentazione);

  • lasciarsi informare;

  • favorire la partecipazione;

  • coinvolgere (ossia assumere la prospettiva della co-educazione);

  • sostenere (cioè accompagnare i genitori nel compito educativo). I servizi e le famiglie si aiutano, si sostengono e si sollecitano reciprocamente a non ripetersi uguali a se stessi e a modificarsi nel tempo.

Molti educatori dichiarano di vivere con un po’ di ansia e preoccupazione gli incontri con le famiglie, a volte caratterizzati da impersonalità, formalismo e ripetitività: in poche parole, tutta forma, poca sostanza, poca anima.

Il lavoro di reale apertura all’identità altrui si può realizzare grazie alla pratica del colloquio, definito da Lawrence-Lightfoot come “l’incontro dell’ascolto, di un’attenzione rapita e senza cedimenti ”.

È essenziale credere nella libertà della personalità di ciascuno, senza etichettare o imprigionare l’altro, il genitore ad esempio, in un modello particolare.

Ogni genitore è, infatti, una persona unica e la chiave di accesso al dialogo con le famiglie è l’empatia, ossia la capacità di mettersi nei panni dell’altro, di vedere le cose anche dal suo punto di vista, di immedesimarsi (pur mantenendo la distanza professionale): ciò porta genitori e educatori a vedere nel colloquio la possibilità di apprendere qualcosa l’uno dall’altro!

Una relazione anche simmetrica, se pur nella diversità di ruoli, dove non c’è una persona che insegna e l’altra che ascolta e apprende, ma l’ascolto e l’apprendimento sono reciproci. (inserire Carl Rogers)

 

Alleanza educativa

Il termine “alleanza” richiama alla mente generalmente un tipo particolare di relazione umana con presupposti ben specifici: rispetto, accoglienza, accettazione dell’altro e comunanza di intenti. L’alleanza di lavoro, e in particolar modo, l’alleanza tra utenti e operatori di un contesto educativamente caratterizzato, si connota per la presenza di  una relazione efficace riguardo obiettivi  comuni e co-responsabilità reciproche.

Per esempio, in un contesto di servizi per l’infanzia zero-sei anni, cosa può intendersi per alleanza educativa tra famiglia e operatori? Ci rispondono Dallanegra e Fava:

“Una relazione co-costruita[..] incardinata nel rispetto e nel […]riconoscimento intersoggettivo, che consente l’assunzione di responsabilità nei confronti dell’altro e circolarmente aumenta la capacità di responsabilità anche su di sé” (Dallanegra e Fava, 2012, p.12).

Quindi per creare e gestire un’alleanza educativa con le famiglie, la relazione che si compone presuppone la responsabilità nei confronti di se stessi e una forma particolare di negoziazione.

Nell’alleanza educativa tra famiglie e scuola vengono negoziati obiettivi, interessi, anche prospettive e significati diversificati, in un’ottica interattiva e mutevole nel corso del tempo.

Una relazione che si gioca nel rispetto di diversi ruoli educativi e responsabilità in un’attenzione quotidiana reciproca.

Un’efficace alleanza educativa ha bisogno anche che vengano esplicitate le diverse aspettative, i bisogni, e i significati che ogni attore coinvolto costruisce nella relazione.

Cosa si aspettano le famiglie dalla scuola e dal suo operato, e cosa ritengono caratterizzi in maniera qualificante una buona alleanza educativa? In maniera speculare, si potrebbero analizzare anche le aspettative e i significati che la scuola e il gruppo di operatori al suo interno ritengono qualificante per una buona alleanza educativa con le famiglie. “L’alleanza implica un senso di partnership tra operatore e utente, in base al quale ogni partecipante è impegnato attivamente nelle proprie specifiche e appropriate responsabilità[…] ingredienti fondamentali sono quindi la fiducia, il rispetto e la collaborazione” (Dallanegra e Fava, 2012, p.21).

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Impegno condiviso e una condizione paritaria dell’ascolto. L’alleanza intesa in questa accezione è sempre possibile?

Se prendiamo in considerazione il suo carattere attivo e dinamico, dovremmo assumere di base che come tutte le relazioni necessiti di una continua manutenzione da parte di entrambi gli attori coinvolti. La manutenzione può svilupparsi attraverso un continuo riconoscersi nei propri confini di azione e ruoli specifici, rendendo gli spazi flessibili e aperti  a nuove contrattazioni, creare le condizioni affinché le relazioni umane possano alimentarsi non solo nella simpatia e nella congruenza cognitiva ma accettando anche la discordanza, la divergenza, la diversità, il conflitto e muoversi in tale direzione, verso nuove prospettive, domande e bisogni, permettendo  un lavoro di accoglienza dove l’alleanza può muoversi anche tra rotture e riparazioni continue.

 

Una forma di Dialogo con le famiglie: il Colloquio di consulenza e la sua gestione

Quando si parla di gestione del colloquio con le famiglie è facile pensare che si tratti di una mera esperienza pratica, un aiuto possibile che si cerca di offrire alle famiglie che lo richiedano.

In effetti la gestione del colloquio è un’esperienza concreta e pratica ma per definirsi buona è necessario una conoscenza teorica dalla quale non si può prescindere. In particolare è necessario fare attenzione a particolari aspetti che risultano fondamentali per la riuscita del colloquio.

Innanzitutto “per poter offrire a madri e padri l’occasione di utilizzare la consulenza educativa, è necessario che gli operatori siano in grado di osservare i gruppi umani che si muovono all’interno del territorio in cui si vuole intervenire: tale analisi della comunità permette di cogliere i linguaggi e le modalità con cui comunicare ai genitori l’opportunità che è stata messa a loro disposizione”.

Questo serve sia per informare i genitori ma soprattutto per gettare le basi di un reciproco rapporto di fiducia e apertura al dialogo. L’operatore (che sia consulente o insegnante) deve quindi saper ascoltare e saper osservare non solo gli utenti che si rivolgono a lui ma anche il contesto familiare e culturale nel quale i soggetti sono inseriti. La consulenza educativa ai genitori vuole quindi essere un percorso d’aiuto ai genitori che, in qualsiasi momento della loro vita di padri e madri, richiedano un sostegno. Il colloquio d’aiuto non è quindi una conversazione, una discussione, un’intervista, un interrogatorio o una confessione; non mira ad una diagnosi ma è da intendersi come una relazione professionale nella quale una persona deve essere sostenuta per optare un adattamento personale ad una situazione verso cui la persona (o la coppia) non è riuscita ad adattarsi normalmente. L’operatore deve perciò facilitare l’espressione dell’altro cominciando con l’ascoltarlo e l’osservarlo. L’ incontro è quindi un autentico scambio umano in cui le diverse menti del genitore e dell’”esperto” si mettono a lavorare insieme; dove il contenitore fisico, cioè la stanza, e il contenitore mentale, cioè la sua capacità di trasformare il non detto, possono favorire il passaggio da un pensiero oscuro a un pensiero chiaro.

Il consulente cerca quindi di rimandare ai genitori un pensiero “pulito”, provando a suggerire le prime ipotesi da esplorare. Egli, inoltre, prova ad accompagnare il genitore alla scoperta di come si stia connotando la relazione con il figlio e mentre lo fa, non solo aiuta mamma e papà a fare chiarezza, ma mostra anche a loro un possibile approccio che procede per ipotesi, che si dà tempo, che non cerca spiegazioni e che sa tollerare di non comprendere. L’approccio al colloquio da parte del consulente dovrebbe essere  non direttivo: egli dovrebbe tenere un atteggiamento di interesse aperto (limitando il più possibile pregiudizi e preconcetti), non giudicante, cercando di cogliere i significati chi i genitori danno alla situazione in oggetto; inoltre è necessario uno sforzo costante per rimanere obiettivo e controllare tutto ciò che avviene nel corso dell’incontro. Risulta importante e necessario che ogni professionista che intende sostenere i genitori nella cura, nell’allevamento e nell’educazione dei bambini sappia condurre un colloquio con l’obiettivo di migliorare la relazione tra essi e i figli aumentando le conoscenze, le competenze e le consapevolezze di ciascuna madre e di ciascun padre. Altrettanto importante, forse prioritario, risulta il lavoro di autoconoscenza e autoconsapevolezza che ogni professionista dovrebbe svolgere prima, durante e dopo ogni intervento educativo e consulenziale, in un’ottica di manutenzione costante.

 

Sguardo divergente, conflitto cognitivo…quando la relazione con i genitori è caratterizzata dal conflitto. Il punto di vista di Gregory Bateson

Nei servizi educativi, dove la relazione è all’ordine del giorno, può capitare di incorrere in conflitti o discussioni con i genitori. In questi casi l’operatore può trovarsi in uno stato di timore e difficoltà, cui si aggiungono dubbi su come procedere e gestire la situazione; ad esempio, è frequente che un insegnante possa chiedersi: ”Se gestisco male il conflitto potrei perdere la fiducia del genitore?” “Come posso comunicare in modo efficace il mio punto di vista senza urtare quello dell’altro?”.

A questo proposito, risulta interessante il pensiero di Gregory Bateson e, nella fattispecie, il concetto di danza relazionale da lui espresso, che evidenzia gli aspetti relazionali e comunicativi del conflitto.

Due ballerini impegnati nella danza smettono di essere individui singoli e distinti, per fondersi nel disegno del ballo e nel significato che esso produce. Questa metafora proiettata sulla relazione tra persone permette di vederla come processo creativo.  Non si tratta di due individui singoli e definiti che entrano in contatto, ma di un processo creativo nel quale l’individuo cede il posto alla diade, ed essa crea un significato del contesto condiviso da entrambi.

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Quali sono le situazioni che possono portare al collasso della relazione? 

La relazione può essere basata sull’uguaglianza (caratterizzata quindi da simmetria) e sulla differenza (caratterizzata da complementarietà); se torniamo alla metafora della danza, possiamo immaginare queste due modalità relazionali come la coreografia del ballo.

In caso di conflitto in una relazione simmetrica entrambi gli individui coinvolti vogliono lanciare il messaggio: “Io sono uguale a te! Non voglio essere da meno”. La relazione prende la forma della sfida. In termini comunicativi si potrebbe verificare uno scambio in cui nessuno dei due vuole cedere sulla propria posizione, ad ogni battuta vi è un escalation di aggressività e un tentativo di prevaricazione. Ne risulta un accumulo di tensione che alla fine può portare uno dei due a voler uscire dalla relazione stessa e a far collassare il sistema. Nel rapporto tra un operatore educativo e un genitore, il rischio è che il conflitto non risolto si concluda, ad esempio, con il ritiro dell’utente dalla struttura.

Quando lo scambio è di tipo complementare il messaggio che si trasmette è: “Io sono diverso da te”. La relazione prende la forma dell’autorità, della dipendenza, dell’orgoglio. Una delle due parti si sente sottomessa all’altra. A livello comunicativo si tende a confermare la superiorità di uno dei due individui. Anche questa situazione può portare alla fine al collasso della relazione: se a sentirsi sottomesso è il genitore, può scegliere di sottrarsi a questa situazione spiacevole rivolgendosi a un altro servizio. Se a sentirsi in una situazione di svantaggio è l’operatore, egli potrebbe avvertire grande disagio e frustrazione, si sentirà inadeguato, e anziché cercare di risolvere il conflitto potrebbe evitarlo, ad esempio facendosi sostituire da un collega nei colloqui.

Questi grovigli comunicativi nascono dal fatto che nelle interazioni tra due individui non è solo il contenuto verbale a trasmettere un significato: la qualità della relazione dipende in gran parte dal messaggio non verbale che trasmettiamo (spesso inconsapevolmente), tramite il tono della voce, i gesti, in sintesi la comunicazione non verbale.

Occorre inoltre tener presente che il contesto ambientale e  sociale influenza enormemente la qualità degli scambi. E il contesto non è dato solo dagli spazi, ma anche dalla relazione che nel tempo si instaura tra due o più persone, perché le interazioni passate creano i presupposti per la costruzione di aspettative e timori sulle comunicazioni future.

Il punto di vista di Bateson offre una lettura del conflitto molto complessa e arricchente, in quanto permette di vedere lo scambio  tra persone come un sorta di organismo vivente, con dinamiche proprie e gestibile se si tiene conto del suo essere un sistema.

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BIBLIOGRAFIA
  • Palmieri C. (a cura di) (2012), Crisi sociale e disagio educativo. Spunti di ricerca pedagogica, FrancoAngeli, Milano.

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  • Lawrence - Lightfoot S. (2012), Il dialogo tra genitori e insegnanti. Una conversazione essenziale per imparare gli uni dagli altri, Ed. Junior

  • May R. (1991), L’arte del counseling. Il consiglio, la guida, la supervisione, Astrolabio Ubaldini Edizioni.

  • Dallanegra P., Fava E. (2012), Alleanza di lavoro tra utenti e operatori: dalla valutazione di processo a un metodo di trattamento, Franco Angeli, Milano.

  • Mucchielli R. (2016), Apprendere il counseling. Manuale di autoformazione al colloquio d’aiuto. Erickson

  • Berto F. – Scalari P. (2008), ConTatto. La consulenza educativa ai genitori. Edizioni La Meridiana

  • Madonna G., La psicologia ecologica. Lo studio dei fenomeni della vita attraverso il pensiero di Gregory Bateson, Franco Angeli Ed.

  • Manghi S., La conoscenza ecologica. Attualità di G. Bateson, Raffaele Cortina Ed.

 

 

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1. Caggio F., Stellon R., “Famiglie e servizi educativi”, Editrice La Scuola, 2013

2. Lawrence-Lightfood S., “Il dialogo tra genitori e insegnanti. Una conversazione essenziale per imparare gli uni dagli altri”, Edizioni Junior, 2012

3. May R., “L’arte del counseling. Il consiglio, la guida, la supervisione”, Astrolabio Ubaldini Edizioni, 1991

4. Dallanegra, P., e Fava, E., (2012). Alleanza di lavoro tra utenti e operatori: dalla valutazione di processo a un metodo di trattamento, Franco Angeli, Milano.

Berto F., Scalari P., ConTatto. La consulenza educativa dei genitori, Ed. La Meridiana, 2008.

5. Mucchielli R., Apprendere il counseling. Manuale di autoformazione al colloquio d’aiuto, Erickson, 2016.

a cura di

Marzia Mirabella,

coordinatore pedagogico e counselor

​Dagù S.r.l. Milano

 

Nido Scuola Clorofilla, Asilo Nido e Scuola d’Infanzia

Servizio educativo 0-6 anni

​

con la collaborazione di

 Marco Orsenigo
Alice Aquila  
Arianna Bertuca
Gaia Gentile
Rachele Lombardi

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