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IL LAVORO DI ORGANIZZAZIONE E PROGETTAZIONE

DI UN’ESPERIENZA SCOLASTICA CHE ACCOGLIE ‘RAGAZZI DIFFICILI’

Workshop condotto da: Cristiano Ricevuti, ENAIP Lombardia                        
                                                                                                                      
Autrici del testo: Maria Diciocia, Giulia Foppa, Chiara Gianotti, Natalia Mazzoni, Mara Moralli, Giulia Mortini, Marina Orlandi, Giulia Quaglia, Sharon Valena, Silvia Vecchi   
                                                                          
INTRODUZIONE
Il nostro incontro col referente dell’ENAIP, Cristiano Ricevuti, ha preso avvio con la sua
presentazione al gruppo: fin da subito è stato propositivo e desideroso di raccontarci la sua esperienza personale e professionale, parlandoci del suo percorso di vita e delle esperienze che lo hanno formato. Questa modalità di racconto autobiografico ha caratterizzato lo stile narrativo di tutto il workshop: infatti anche la nostra presentazione ha previsto un momento iniziale in cui abbiamo ripercorso la nostra storia di formazione fino ad arrivare ad esplicitare i nostri obiettivi lavorativi futuri.
Una volta concluso il momento iniziale ci ha presentato un servizio educativo costruito su una pedagogia scolastica che accolga le esigenze dei ragazzi in difficoltà. 
L’ente di Formazione che eroga la tipologia di servizio presa in esame è l’ENAIP, Ente Nazionale ACLI Istruzione Professionale, ed è presente in Italia con un nodo nazionale e diversi enti regionali; nello specifico 30 strutture sono presenti in Lombardia, di cui due solo a Milano. 
Il Centro di Formazione professionale accoglie ragazzi dai 14 ai 18/19 anni con diverse problematiche, che vanno dalla difficoltà cognitiva fino alle difficoltà comportamentali e di attenzione. Questo è il motivo per cui vengono definiti adolescenti “difficili”.

IL SERVIZIO
Ci siamo poi soffermati sull’entità della formazione professionale presente sul territorio italiano, la quale presenta molteplici differenze rispetto allo standard europeo. Questo tipo di Formazione nasce in Germania dove vi è un forte investimento a livello aziendale, in Italia invece è considerata il “livello Z” della formazione. Inoltre la poca partecipazione delle aziende, fondamentale per un ente di formazione professionale, contribuisce ad assegnare poca importanza a questo tipo di struttura. 

Ogni centro presente sul territorio regionale ha la sua particolarità rispetto ai corsi di studio attivati nell’arco dell’anno scolastico. 
Come afferma la carta dei servizi:

Il Centro Servizi Formativi Enaip Lombardia di Milano è accreditato dalla regione Lombardia per i servizi di istruzione e Formazione Professionale (FP) e per i servizi al lavoro. Le principali aree dell’offerta formativa sono relativi ai settori meccanica, impianti, costruzioni, servizi commerciali, turismo e sport. 

Il centro ha stretto nel tempo significativi rapporti con le istituzioni scolastiche, le aziende e le realtà imprenditoriali del territorio, sviluppando una collaborazione che garantisce il collocamento dei corsisti per attività di stage e tirocini.              
                                    (Carta dei Servizi, Enaip Milano)
I corsi presenti in questa struttura sono quindi: 
    operatore elettrico;
    operatore elettronico;
    operatore amministrativo segretariale;
    operatore alla riparazione dei veicoli a motore;
    tecnico dei servizi di animazione turistico sportivo (corso sperimentale).

La scuola non ha solo il compito di formare gli studenti in ambito professionale, ma anche favorire lo sviluppo culturale, sociale ed economico delle persone. Per questo motivo accanto ad una formazione di tipo professionale e accademica, vi è una formazione di tipo educativo. In alcuni casi si può addirittura parlare di “affido scolastico”.
Il ruolo dei docenti presenti nella struttura quindi non è quello di insegnanti ma di formatori, ovvero un incrocio tra insegnanti ed educatori. Il percorso che i ragazzi svolgono all’interno della scuola è un percorso educativo, un percorso di vita. 
L’anno scolastico prevede una durata complessiva di 990 ore e, a partire dal secondo anno, vengono suddivise tra la parte teorica e la parte pratica. 
Al secondo anno sono previste 250 ore di stage: a metà marzo il percorso accademico si interrompe e i ragazzi vanno a lavorare tutto il giorno. 
Per il terzo e il quarto anno invece la Regione Lombardia ha previsto un sistema duale basato sull’alternanza scuola-lavoro (due mesi di scuola/ due mesi di tirocinio/ un mese di scuola/ un mese di tirocinio/ due mesi di scuola); però, nel corso degli anni, è emerso che questo sistema non sempre risponde alle esigenze dei singoli corsi. 
Per ogni classe è prevista la figura del tutor che, generalmente, è un formatore della classe stessa e ha il compito di accogliere i ragazzi e le famiglie, cercare e gestire i tirocini.
Questa è una figura molto importante anche per le famiglie, nelle quali sovente il tessuto familiare è assente o inadeguato. Spesso, riporta il relatore, quello che viene a mancare nelle relazioni scuola-famiglia è il Patto Formativo. 

 

Per comprendere meglio la struttura organizzativa di seguito riportiamo l’organigramma dell’ente: 

DIRETTORE
        


COORDINATORE 


    
TUTOR     TUTOR     TUTOR 

 

FORMATORI


Accanto a queste figure principali sono presenti delle funzioni traversali che hanno tutte il ruolo di formatore: 
    referente stage- apprendistato: coordina il lavoro dei tutor nella ricerca degli stage e gestisce il database aziendale;
    referente area sostegno: per ogni classe di 20/25 persone ci sono circa 2/4 allievi con ritardi cognitivi e 3/6 allievi con DSA. Il sostegno, previsto solo sugli alunni con ritardo cognitivo, prevede un totale di 100 ore annue per ogni alunno. Per questo motivo si è deciso di accorpare i ragazzi in gruppi di 3 persone per avere almeno 300 ore annue;
    psicologo: sportello di ascolto libero per i ragazzi;
    tecnici di laboratorio;
    personale ausiliario;
    volontari del Servizio Civile;
    referente corso personalizzato;
    referente orientamento: gestisce l’orientamento nella scuola secondaria di primo grado.

Uno strumento di fondamentale importanza all’interno dell’ENAIP è l’istituzione di un lavoro di équipe e la condivisione di obiettivi comuni tra i docenti. Gli insegnanti inoltre sono tenuti a partecipare a corsi di formazione o di aggiornamento e il coordinatore svolge anche la funzione di supervisore dei docenti (svolgendo con essi dei colloqui individuali). 

I disagi che i formatori si trovano ad affrontare sono di diversa natura: didattica, disciplinare e sociale.
Per quanto riguarda la prima area, si vuole far riferimento a ragazzi che non hanno un’educazione scolastica, alunni che hanno una preparazione didattica molto bassa e non sono abituati ad apprendere e, nei casi più gravi, anche ragazzi che non hanno nessuna cognizione del mondo che li circonda.
Nei disagi di natura disciplinare invece rientrano tutti i comportamenti inadeguati in ambito scolastico e comunitario come la mancanza di educazione nello stare in classe, atteggiamenti di bullismo, la mancanza di rispetto per i formatori, mancanza di cura per la propria persona e, nei casi più estremi, le dipendenze, non solo dalle droghe ma anche da utilizzo del cellulare e da gioco d’azzardo.
Per arginare questi tipi di comportamenti è stata istituita un’importante rete con la polizia e i carabinieri del territorio. 
Nei disagi di natura sociale invece si vuole far riferimento alla mancanza di una rete familiare a cui spesso è legato un aspetto economico e alle differenze tra i maschi e le femmine.
Come si può rispondere a questi disagi?
È sicuramente fondamentale la costruzione di modalità di intervento e insegnamento comuni. L’obiettivo primario della scuola non è il conseguimento del titolo, ma sviluppare nei ragazzi un senso di responsabilità che li porterà a diventare degli uomini e donne capaci di essere autonomi.
Si può quindi affermare che, all’interno di questo servizio, si lavora affinché sia possibile recuperare l’educazione di ogni singolo ragazzo. 
Ogni critica che il docente fa nei confronti degli studenti deve essere motivata e il docente stesso deve riportare quanto accaduto al tutor.
L’investimento che il servizio si pone è quello di sviluppare dei valori sani, far comprendere a questi ragazzi difficili cosa sia il senso di responsabilità e permettere ad essi di sviluppare delle reti di amicizia positive: tutto questo ci rimanda quindi al concetto di inclusione sociale.

Inoltre un ultimo aspetto che va considerato è il lavoro di collaborazione e di rete che l’ENAIP intesse con il territorio. 
La scuola infatti stipula delle convenzioni con le aziende che accolgono gli studenti tirocinanti. 
Ad esempio il progetto ENGAGE è un rapporto di collaborazione tra la scuola e alcune aziende rinomate, le quali accolgono tirocinanti con maggiori difficoltà economiche garantendo loro una retribuzione. Le aziende inoltre, in alcuni casi, donano borse di studio, libri e materiale scolastico.
Queste collaborazioni rivestono un ruolo molto significativo, in quanto rappresentano delle possibilità concrete per i ragazzi per poter pensare al loro futuro.

TEORIE DI RIFERIMENTO RISCONTRATE

Dalla partecipazione al workshop sono emerse alcune teorie incontrate durante questo corso di laurea magistrale. In particolare, fin dal titolo del workshop (il lavoro di organizzazione e di progettazione di un'esperienza scolastica che accolga ragazzi difficili), è stato per noi immediato il riferimento al testo Ragazzi difficili di Bertolini nel quale l'autore, a partire dall'esperienza vissuta in qualità di direttore dell'Istituto Penale Minorile ''Cesare Beccaria'', rivisita il fenomeno della devianza minorile attraverso un approccio pedagogico in una prospettiva fenomenologica.
Bertolini ritiene che sia poco rilevante distinguere i ragazzi sulla base dei loro comportamenti e preferisce abbandonare un approccio eziologico a favore di uno interpretativo cercando di cogliere, dietro un agire deviante, le tracce di una particolare visione del mondo.
Alla luce di questo sostituisce le tre categorie di ragazzo a rischio, disadattato e delinquente con un'unica categoria pedagogica, quella di ragazzi difficili.
La difficoltà di cui parla Bertolini riguarda la difficoltà a divenire soggetti. Secondo l'autore, infatti, nei ragazzi difficili

emergono essenzialmente profili biografici costellati di difficoltà, interruzioni o cortocircuiti nel processo di costruzione di sé come soggetto, schemi di relazione con il mondo e con gli altri profondamente disfunzionali. 

La devianza è un costrutto sociale nel quale predomina una visione deterministica del ragazzo, il quale, privo di ogni responsabilità nella costruzione della sua esistenza e nella capacità di conferire senso alla realtà, risulta vittima di etichette svalorizzanti e degradanti. Il rischio è quello di creare un circolo vizioso tra la rappresentazione del mondo esterno del ragazzo deviante e un suo rispecchiamento in essa.
L'intento di Bertolini non è opprimere il comportamento antisociale del ragazzo, ma comprendere e intervenire pedagogicamente sui suoi vissuti e sul significato soggettivo che lui attribuisce alla sua esistenza.

Rieducare significa fondamentalmente procedere ad una profonda trasformazione della visione del mondo del ragazzo: del suo modo di intendere sé stesso, gli altri e le cose, del suo modo di mettersi in relazione con queste realtà e di procedere quindi nella scelta dei suoi atteggiamenti e dei suoi comportamenti. 

All'origine di una visione del mondo disfunzionale del ragazzo vi sono esperienze tutte dello stesso segno in quanto l'io esercita il suo modo di attribuire senso al mondo a partire da uno spettro ristretto di significati. Alla luce di questo, l'intento di Bertolini è quello di recuperare il contributo del soggetto all'esperienza e di dilatare l'orizzonte dei significati.
A questo punto diventa necessario proporre al ragazzo un certo numero di esperienze per ripensare il mondo e la sua collocazione in esso con gli altri. Le esperienze proposte da Bertolini possono essere divise in quattro aree:
-    L’educazione al bello per favorire la costruzione di un senso estetico;
-    L’educazione al difficile attraverso compiti ed esperienze che motivano il ragazzo richiedendone impegno e responsabilità;
-    L’esperienza dell’altro per favorire il riconoscimento dell’altro, rispettarne i punti di vista e migliorare i processi di negoziazione e scambio;
-    Educare con l’avventura per destrutturare schemi cristallizzati attraverso esperienze sotto il segno dello straordinario e dell’eccezionalità.
Queste esperienze permettono al ragazzo di raggiungere maggiore consapevolezza e distacco critico dai propri schemi di riferimento e percepirsi come costruttore attivo della propria visione del mondo e aumentarne il senso di responsabilità.
Un ulteriore aspetto da prendere in considerazione, coerentemente con altre teorie incontrate nel corso dei nostri studi in Scienze Pedagogiche, è il fatto che spesso, erroneamente, la responsabilità di un vissuto particolarmente difficoltoso è fatta ricadere unicamente sulle spalle del soggetto che ne è portatore. Ma tale soggetto non è un'isola: per essere compreso, deve essere indagato come “organismo-nel-suo-ambiente”  in relazione al sistema di cui è parte, intendendo per sistema il tessuto di relazioni in cui è immerso, da cui è plasmato e che egli stesso contribuisce a plasmare .
Un elemento del sistema, da considerare, è sicuramente il fatto che i “ragazzi difficili” di cui abbiamo sentito parlare nel corso del workshop sono nati e cresciuti in un quartiere popolare di Milano, contesto fortemente esposto alle nuove forme di sofferenza, disagio e dipendenza  originate dall'attuale crisi sociale, propria di un’epoca in cui, ai profondi mutamenti in atto nell'ambito dei modi di vivere, delle strutture familiari e dei contesti lavorativi, si accompagna una progressiva riduzione  della protezione sociale.  Questo si riconnette ad un secondo elemento importante, ovvero il fatto che la fatica delle famiglie che vivono tale quartiere si riflette anche nella difficoltà ad educare i propri figli. 
Tuttavia non è necessario prendere in esame situazioni di particolare povertà o deprivazione  socio-culturale per trovare genitori in crisi riguardo all'educazione dei propri figli; il patto educativo fra genitori e figli sembra essersi rotto in moltissime famiglie, indipendentemente dalla loro condizione  socio-economica: se prima degli anni '60 e '70 l'educazione, nella sua severa rigidità poteva risultare autoritaria, plagiante e talvolta nevrotizzante per i giovani,  l'attuale erosione dell'autorevolezza dell'adulto in nome di un mito della libertà personale che mette genitori e figli sullo stesso piano, e l'assenza di una proposta forte dal punto di vista etico e valoriale, lungi dal liberare dalla con-formazione, stanno aprendo le porte al conformismo. I ragazzi non riescono a raggiungere una propria libertà nel pensare, nel desiderare: sembrano tristemente rassegnati ad accettare la realtà così come la trovano.  Perché l'autonomia non fiorisce in uno spazio vuoto, ma si configura come la capacità di superare e di modificare lo stato di dipendenza materiale, emotiva ed intellettuale dall'adulto, proprio di una soggettività in crescita .
Un terzo elemento, per noi significativo nell'economia del sistema, è costituito dall'educazione scolastica. Il coordinatore del Centro di via Giacinti ci ha riferito che i Centri di Formazione Professionale sono ritenuti, nel contesto delle scuole pubbliche, scuole “di serie Z”, e dunque vi vengono indirizzati tutti quegli studenti che provengono da altre esperienze scolastiche molto difficoltose. Bisogna però chiedersi in che modo si siano prodotte tali esperienze e, se si guarda alla scuola, ci si rende conto che anche l'educazione scolastica si trova a vivere un periodo di crisi. La scuola si trova spesso lontana dai codici comunicativi della realtà sociale, da cui è per questo sentita come illegittima; gli insegnanti, non sempre esenti da nostalgie autoritarie, sono portati ad identificare come disagio ogni forma di inadeguatezza alle richieste di conformità e normalità che provengono dall'istituzione.  Questi ed altri aspetti producono uno svuotamento di senso dell'esperienza scolastica e minano radicalmente la motivazione dei ragazzi.
Come si può provare a rispondere a tutto questo? L'orientamento educativo proprio dei formatori del Centro di Formazione Professionale di via dei Giacinti ci sembra molto in linea con la proposta delineata dalla prof.ssa Cristina Palmieri nel suo contributo all'interno del testo Crisi sociale e disagio educativo.  Essa consiste innanzitutto nel resistere alla tentazione di assumere, come educatori, una posizione esecutiva, in quanto se da un lato questa può essere rassicurante, dall'altro può risultare anacronistica e alienante. Occorre invece mantenersi aperti ad una continua ridefinizione del proprio ruolo pedagogico, comprendendo e accettando i cambiamenti insiti nella contemporaneità, chiedendosi in quali condizioni l'educazione abbia ancora senso e ricercando i presupposti che la qualificano come esperienza particolare e pregnante.

 RIFLESSIONI E NUOVE CONSAPEVOLEZZE  
 Partendo dalle considerazioni del Dott. Cristiano Ricevuti, vorremmo dedicare quest'ultima parte dell'elaborato ad alcune riflessioni rispetto al suo ruolo di coordinatore di attività formative.  
Gli aspetti su cui vorremmo soffermarci riguardano la complessità del suo lavoro sul campo e le dinamiche di cura che caratterizzano la sua esperienza con i ragazzi difficili. Come già sottolineato nella parte precedente di questo testo, il coordinatore entra in contatto con molte figure professionali e non, con le quali instaura delle dinamiche di interazione sempre più approfondite (con le famiglie, con i ragazzi, con i formatori, con le forze dell'ordine, ...). Metaforicamente parlando ci raffiguriamo questa capacità del coordinatore come una sorta di spirale: non si tratta infatti solo di un mero scambio di informazioni ma alla base ci sta una volontà di approfondire in modo consapevole le relazioni con tutti i soggetti che partecipano all'esperienza. L'emergere di questi aspetti ci ha portato ad una riflessione inerente al nostro futuro professionale. Per far sì che si possa creare un sistema funzionante a livello organizzativo e caratterizzato da una reciproca fiducia tra i membri (le famiglie e l'équipe multiprofessionale), è indispensabile coltivare un ascolto attivo e accogliente.  Pensiamo che questa modalità di approcciarsi al sistema, attraverso una postura non giudicante, faciliti l'accoglienza delle complessità di ciascun soggetto.  Ciò è strettamente collegato al concetto di "prendersi cura": attraverso le parole del coordinatore siamo state portate a riflettere su questo aspetto, che allude in paricolar modo all'esperienza relazionale con il ragazzo "difficile". La cura di cui si parla in questo contesto sembra strettamente in antitesi con quella utilizzata nel paradigma sanitario. La logica non è quella di curare la persona attraverso l'assistenzialismo (sostituirsi all'altro) ma curare la relazione dell'Altro con il mondo. Questo richiede una maggiore riflessività e una più profonda presa di consapevolezza; allo stesso tempo è, a nostro parere, la via che conduce alla piena realizzazione dell'altro come protagonista della sua esistenza.  

BIBLIOGRAFIA
Barone P., Pedagogia della marginalità e della devianza: modelli teorici e specificità minorile, Guerini studio, Milano, 2001
Bertolini P. Ragazzi difficili, Franco Angeli, Milano, 2015
Bruzzone D., Iori V., Le ombre dell’educazione. Ambivalenze, impliciti, paradossi, FrancoAngeli, Milano, 2015
Formenti L. et al. Il diciottesimo cammello. Cornici sistemiche per il counselling, Raffaello Cortina, Milano 2008
Manghi, S., La conoscenza ecologica. Attualità di Gregory Bateson, Raffaello Cortina, Milano, 2004
Palmieri C. (a cura di), Crisi sociale e disagio educativo. Spunti di ricerca pedagogica, FrancoAngeli, Milano, 2012

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